Denise Epstein, la figlia maggiore di Irène Némirovsky, confessa alla giornalista Clémence Boulouque il suo mal di vivere. Ha visto a dodici anni la madre sparire nel 1942, portata via all’improvviso dai gendarmi francesi in quanto ebrea, e da allora non s’è più ripresa. Se non, parzialmente, ricostituendone il personaggio con la pubblicazione nel 2004 di “Suite francese”, da lei ritrovata in un baule di memoria che aveva sempre evitato di aprire. Ma nulla aggiunge alla vicenda della madre, e nemmeno della propria. Se non qualche aneddoto: trovarsi in casa, tarda sessantottina, un brigatista italiano sconosciuto che subito si affretta a cacciare, e poco più. La sua impossibilità di essere l’aveva icasticamente detta a Stefano Jesurum prima dell’uscita del libro (“Repubblica” del 21 maggio): “Sto per dire una cosa mostruosa: mio marito (col quale ha avuto tre figli, n.d.r.) non conta nella mia vita. I miei amori non contano. Non sono mai stata innamorata, era come se non avessi il diritto di essere innamorata, né di ridere, né di piangere, né di essere felice. Ma non è grave”.
Denise Epstein, Sopravvivere e vivere, Adelphi, pp. 181, €13
sabato 19 giugno 2010
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