È solo “milanese” nel trionfo. Anzi “milanese di madre bresciana”. Non si dice di Francesca Schiavone, trionfatrice al Roland Garros, “di origini meridionali”, come sempre nelle cronache (nere). Anche se non solo il padre è emigrato da Avellino, anche la madre bresciana ha origini meridionali. Il che è ottima cosa, la mancata sottolineatura. Se non che, nel caso, si segnala come un’omissione voluta, del tipo “giù le mani dai nostri successi”. O un nuovo tipo di anagrafe, in una col regionalismo? La madre certo è dirimente, in tutte le teorie razziste – anche se, nel caso, si ritorna alla domanda che perseguitava gli ebrei che cambiavano nome e religione: “Sì, ma prima?”
La “milanese di madre bresciana” è del “Corriere della sera”, o della “Gazzetta dello Sport”. Ma non è un omaggio al patron dei due giornali, Giovani Bazoli, il primo dei bresciani. È la cancellazione del padre. La conquista di Parigi non è il trionfo personale di Francesca Schiavone. O di una latina, per la prima volta, in uno sport da (ex) grandi potenze. O del tennis italiano. No, sarà stata una vittoria della Lega. Cioè, diciamoci la verità, di una certa Milano, quella che ci malgoverna da vent’anni. Lei ha dovuto far tappa, nella difficile carriera, in molti altri posti, anche in Sicilia, e non si stanca di dirsi italiana, e ringraziare l’Italia e dedicare il suo trofeo all’Italia. Ma è, ogni due righe, un’atleta “milanese”.
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