Il ’68 è anzitutto un’età. E forte, fortissimo, il senso politico della rivolta. Qui se ne fanno specchio alcuni di quelli che non c’erano, e che il ’68 voleva abbattere: Balestrini (estetismo), Castellina (il Partito), la sociologia al potere (Touraine), l’individualismo (Serafini). Mentre Giovanna Pajetta e Ginevra Bompiani fanno il ritratto delle persistenze. Nel complesso una cattiva azione: appropriarsi non solo del ’68, ma della sua risata – dunque, si sa cosa fu il ’68?
Solo Sinibaldi (“negli anni successivi ha studiato e letto essenzialmente per comprendere cosa aveva fatto (e cosa era successo)”) ne dà un’idea. Con Guido Viale (“La prima cosa che mi viene da dire è che noi non abbiamo fato il ’68, ma che ci è capitato addosso”). E Muraro e Ravera, che da scrittrici lo mimano vivacemente – non per nulla Ravera è autrice del (piccolo) capolavoro del ’68, “Porci con le ali”, l’unico purtroppo: si vede che il ’68, essendo stato una festa della libertà, un innamoramento (“il primo amore”, Ravera), “l’affacciarsi un poter essere, non in astratto, ma vivo ed effettivo”, Muraro), è un capolavoro non riproducibile.
Molto si parla del “Manifesto”, che non c’entra. Dei dissidenti” dell’Est “si sapeva poco o nulla”, scrive Giovanna Pajetta: è sicura, nel ’68? Ginevra Bompiani ha visto a Parigi “quel malumore”, quello di “una città dentro e intorno alla quale stanno crescendo milioni di razzisti, e che è incapace di riconoscerli in quelle facce arroccate nel malumore e nel puntiglio”. Nel ‘68? È “La risata” di chi allora non rideva. Se non accidentalmente, “al circo Mediano”, racconta Castellina (sarà Medrano?), dove, “sul collo il fiato di due elefanti e una giraffa”, con Toni Negri e Franco Piperno tentano di unificare “Manifesto” e Potere Operaio – quanto di più lontano dal ‘68. Il ’68 ha aperto le menti – anche dei più adulti. Ma non tutte, evidentemente.
La risata del ’68, Nottetempo, pp. 163, € 8
giovedì 17 giugno 2010
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