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Classico – I classici sono sconclusionati. Implausibili, bizzarri, smisurati - devianti in escrescenze, ripetizioni, illogicità (Quanta saggezza nelle Gonerille! La saggezza viene scritta “come viene”, e poi attribuita in scena secondo le entrate?). L’opposto della regolarità, la proporzione, la simmetria, quello che la critica classica della cultura dice classico.
Confessione – La prima persona al presente storico è una rappresentazione doppia, del soggetto che racconta se stesso e insieme si commenta (situa). Per questo è faticosa.
Ebraismo - Una storia laica della storia ebraica e della civiltà potrebbe argomentare che gli ebrei si sono “inventato” tutto, hanno cioè copiato tutto. Gesù che staziona a Cafarnao, crocevia dell’Oriente, per il Dio clemente, l’uomo responsabile, la salvezza individuale. Mosé o Giuseppe per tutto quello che viene dall’Egitto: l’Onnipotente, l’Uomo-Dio, la luce, il muro del pianto. E altri simboli, miti e aspetti del divino da altre civiltà, babilonese, fenicia, greca: la regina di Saba, il Salvatore, l’inferno… Inframezzati da profezie e storielle locali di poco conto. E da grandissima poesia – una forza letteraria che rende ancora più plausibile l’invenzione. Straordinario romanzo storico ne verrebbe, l’invenzione di una civiltà – la civiltà che ci ha fatti e ci governa.
Ron Rosenbaum l’ha fatto col “fenomeno Hitler”. Limitatamente: la sua è la traslazione (l’applicazione) alla storia della teoria psicanalitica. Ma non è questa teoria tipica scienza del più tipico ebraismo, la cabala, per cui una cosa ne nasconde un’altra? Nasconde in sé, è un’altra. E delle storielle yiddisch, uno dei cui meccanismi è “Sì, ma prima?” - la cabala, o il nome nascosto, che vengono dall’antico Egitto.
Filologia – Ha status di scienza, mentre è al più un’arte. Anche nell’erudizione. E non tiene conto, malgrado il culto delle varianti, delle riscritture. Quante mani diverse hanno comunque composto la primissima copia? E su quali di queste copie – i codici – hanno lavorato le miriadi di copisti con le loro inevitabili sviste, per non degli scherzi dei burloni e delle vendette. È arcigna solo con la scrittura. Nella musica e nella pittura i rifacimenti, normalissima pratica, hanno titolo a considerazione alla pari.
Freud - Era un medico. Operava cioè in situazione traumatiche, e scriveva da medico. Ma ha diffuso e imposto il suo sistema operativo come interpretazione della realtà, e perfino come placebo, non innocuo. Che faceva di diverso Torquemada, prima dei roghi – un Torquemada che non avesse abiurato? È implacabile nell’annientamento dell’io, poiché tale è la sua terapia, non la ricostituzione: l’io storico e sociale. Imponendo la mutilazione di ogni utensile o aggancio che la persona abbia ereditato o si sia costruito nel mondo.
Propone verità. È quindi incongruo. Propone verità dove non ci possono (devono) essere: rendere conscio l’inconscio, razionalizzare l’irrazionale. Rende tuttavia commestibili situazioni e soluzioni insulse, aberranti, assurde. E non per dono di scrittura, non è grande affabulatore. Perché induce la paura? La sua normalità è terribile: non si esiste fuori dall’inconscio, il sesso è la grande malattia. Si dice per la sessuofobia, del giudaismo, del cristianesimo. Ma non c’è in lui né Bibbia né Vangelo, solo un antifemminismo radicale, comune anche alle sue donne, alle pazienti, viscerale (vissuto), ossessivo. E la fobia del piacere. Il piacere non può essere, per questo non può darsi guarigione, che pure è il presupposto di una terapia. Il sesso è la peste, è goccia a goccia un diluvio universale, miliardi di gocce, montagne, oceani, che si disfano.
È lo scienziato folle, si vede dalla durezza (assenza del dubbio). Scientista del suo tempo, per l’applicazione distorsiva che fa dell’intelligenza, che si degrada per essere furba, incontestabile. Geometricamente si avvita in surplace, in movimento elicoidale che tanto più romba in quanto non decolla. Dice di limitare la realtà per meglio approfondirla (scoprirla): non si nasconde. Ma è insidioso. Perché? Va incontro al bisogno di aggressività dell’uomo, di vittimismo delle donne (del tipo femminile, quindi anche degli uomini che si presumono violentati). Conforma e consolida cioè le incrostazioni psicologiche nel mentre che si dice intento a ripulirle. Ma basta questa surrettizia capacità di rassicurazione a farne il successo?
Non si può dire, ma attua una forma di nazismo, di sovietismo - il totalitarismo, si sa, deve annientare. Attacca la persona nelle sue radici, gli affetti, le amicizie, le relazioni, sulla base del sospetto, per rimodellarle su presupposti estremamente limitati, che presenta purificati se non puri. E trova, con la metodologia non asettica del sospetto, ciò che cerca. Una demiurgia e non un metodo critico, che prefigura la malattia (la condanna, la subordinazione). Elimina dalla vita la spontaneità, checché essa voglia dire (famiglia, religione, lingua, clima – anche una valle chiusa è ancora spontanea, o la prateria), e il radicamento, per ricostituire un manichino semplificato. Che ha occhio solo per se stesso, ed è in grado di camminare da solo ma periodicamente va lubrificato. In fondo ripropone il golem, sotto forma psichica, la modellazione di un io posticcio, semplificato, dopo aver mutilato e semplificato quello reale. Anche il procedimento è crudele: la memoria selettiva forzata.
Muove l’attacco più insidioso all’individuo, più del materialismo. Non solo perché demolisce in forma di terapia, ma per il potenziale devastante che mette in campo, minando ogni singola coscienza dall’interno, e con singolare economia e scienza totalitaria: mediante il linguaggio. Seppure imponendone uno rozzo e indimostrato (indimostrabile). Ma è linguaggio violento, “chi si oppone è malato”, e questo conta. Soprattutto insidioso è l’attacco agli “affetti più cari”. Che non è scientifico, anche se lo sembra, ma è devastante, volendo demolire l’individualità, il giudizio.
La riduzione del mondo all’io può anche essere storicamente determinata, dall’esilio, la transumanza, la marginalità. Ma è essa stessa divorante. È terapia diabolica. È una forma di auto-tortura. Figurativa e pratica, passando per il taglio o la rimozione di ogni possibile estensione (affetti, passione politica, ricerca, socialità), in favore di una memoria ferocemente (sessualmente) selettiva, di cui si può fare colpa solo a se stessi. Se l’analisi è autoanalisi, come opera questo soggetto diviso che è l’analista? Sì, il doppio, si fanno buoni racconti, m la scientificità? C’è un che di malsano (irrisolto, contraddittorio, furbo) nella decostruzione-ricostruzione dell’io. Non è filosofia e non è psicologia. È una tecnica. Serve cioè a qualcosa, ma a che cosa? A guarire no, e allora?
Gentiluomo – Può non essere un galantuomo. Mentre un galantuomo è sempre un gentiluomo. Curioso rovesciamento semantico, tra i significati originari.
Lutero - È scandaloso: “Peccando acquisti forza, nel costringerti a non peccare perdi le forze”. È la radice, e anche il tronco, di Nietzsche. E il “pecca fortiter” non è solo divertirsi, mangiare, bere, scopare, ma anche essere malvagi, per evitare che chi è troppo giusto si inorgoglisca. Ma non è libertino. È autore compiaciuto di sofistiche sottigliezze, come sarà Nietzsche, segnato dal lutto paterno-luterano. Argute certo. E materia d’infinita ermeneutica, ma nei fatti stolide.
Alla fine della lunga lotta per la salvezza attraverso la fede, del rifiuto senza distinzioni di qualsiasi opera, Lutero conviene senza resipiscenze: “Purtroppo avviene il contrario, con questa dottrina, della giustificazione attraverso la sola fede, più passa il tempo più il mondo diventa cattivo. Ora la gente è posseduta da sette diavoli, è più avida, più furba, più parziale, più spietata, più immorale, più sfrontata e più cattiva che sotto il papato”.
È l’intellettuale, unicamente coinvolto nel suo scandalo.
Punto di vista – Nella narrazione è in effettuale (arbitrario): la storia si legge sempre all’incontrario, ex post.
Subculture – In voga in assenza di culture, idee unificanti. Fanno emergere le ghettizzazioni – etniche, morali, sessuali, di genere, generazionali – ma non le creano. Sono, fino a prova in contrario, delle difese. O, secondo lo schema trinario, il momento contestativo da cui una nuova sin tesi potrà (dovrà) germogliare. Altrimenti non ci saranno neppure subculture – sono più deboli delle ideologie, pure finite senza residui.
Tacito – Si può dire l’Italiano: il “conservatore pessimista”. Il notabile peninsulare.
Può servire ai tiranni, e ai loro nemici – essenzialmente per non essere affidabile. L’arcitaliano Guicciardini lo sapeva già: “Tacito insegna ai tiranni come essere tiranni, e ai lolro sudditi come comportarsi sotto i tiranni”.
Tempo – L’inverosimiglianza del tempo reale. Nella narrazione all’italiana, per esempio, tipo diario scolastico. Che è falsa, oltre che noiosa – o è noiosa perché è falsa.
letterautore@antiit.eu
giovedì 24 giugno 2010
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