Fini viene accreditato come un secondo Andreotti. Anzi, c’è chi vuole che Andreotti in persona, dopo aver mandato Moro a morte con i dossier del 1974, sconfitto Berlinguer alle elezioni nel 1979, e annientato Craxi con Mani Pulite, con le carte del tangentone Enimont, ora stia per sgonfiare Berlusconi. Anche se da lontano, stanti i problemi di salute, e per procura, via appunto il Fini-Andreotti numero 2. Prima coi busillis della sua avvocatessa Bongiorno, poi coi pronunciamentos dello stesso Fini, in mancanza di solidi dossier. E qualcosa di sudamericano nella fine del partito di Berlusconi in effetti c’è, ma poco di andreottiano. Se non per lo stesso Berlusconi.
Dall’altra parte infatti c’è Berlusconi che va dicendo in giro che Fini, Bongiorno, Granata, Bocchino, che nomi, gli hanno impedito la legge sulle intercettazioni. Non dispiaciuto, anzi a cuor contento. Perché sa che sulle intercettazioni stravincerebbe eventuali elezioni? È possibile, in questa fase conquisterebbe anche il voto d’opinione, che si è più volte astenuto o ha votato il Pd come speranza, e che è quello che “sposta” l’esito del voto, con 4-5 puti percentuali. Ma il vantone Berlusconi questa volta non lo dice, ecco dove Andreotti si annida: la lezione è portare l’avversario nella sua trappola, non esporsi, anzi non esserci.
Andreotti non ha mai detto la volpe nel sacco prima di avercela messa. Mentre Fini lo ha fatto più volte. Nella famosa alleanza elettorale con Segni contro Berlusconi. Nell’alleanza con Fazio contro Tremonti alla Banca d’Italia. Nell’esultanza non appena Caselli da Palermo cominciò a far dire che Andreotti era un mafioso: “È la fine del regime”. Era il 1991, quindi Fini ha fatto da allora vent’anni, quasi, di lista d’attesa.
venerdì 30 luglio 2010
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