Il contorno critico è affascinante – il libro è di trent’anni fa: giudici amichevolissimi che sottintendono “non l’ho letto”. Geno Pampaloni fa un piccolo omaggio all’autore (personaggio, scherzi, riconoscimenti) e poi situa la parte centrale del libro a Kabul. Furio Colombo si sbilanci sulla scrittura, ma si limita all’episodio (non il più leggibile) del cane al Park Hotel, come se leggesse secondo “sortes vergilianae”, aprendo a caso. Uno scrittore che avrebbe meritato miglior sorte – o migliori amici. Luigi Baldacci ha letto e apprezza, ma con riserve a iosa (“scrittura di difficile, forse labile, classificazione”, “rischiosa fluidità”, “prosa sofferta”) in un pezzullo, dopo aver divagato senza riserve e ampiamente sui racconti di Giorgio Van Straten.
Le storie sono ordinarie, i personaggi sono originali ma svolti in subordine, l’interesse è a tratti la lingua. Sono i passaggi in cui Buttitta riflette la bellezza, dei luoghi e dei fenomeni, delle cose. La storia ha la sua parte nella fascinazione, naturalmente, che si tratti dell’Ararat, della Sicilia, di Shiraz e delle altre magie iraniche, ma la bellezza emerge viva dalla terra e dalla luce,
Pietro A. Buttitta, Terra di nessuno
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