Un omaggio a Agamben, a tratti critico, in un pascolo brado di letture contigue, di Pasolini prima, l’articolo delle lucciole, che non fanno luce, ma sono luce, di Benjamin estesamente, e di Klemperer, Charlotte Beradt, Bataille, Laura Waddington. Il filo sono le immagini e le persistenze (sopravvivenze), di cui Didi-Hubermann è appassionato ricercatore e filosofo (in Botticelli e nel Beato Angelico tra gli altri, lì appassionante), “immagini di pensiero”, “esperienze di immagini”.
Di Pasolini l’iconologo fatica a seguire gli umori politici. Una spiegazione provvisoria tentandone, della disperazione politica (l’articolo delle lucciole, l’1 febbraio 1975, s’intitolava “Il vuoto del potere in Italia”), nella perdita, o trasformazione, del desiderio sessuale, in Pasolini stesso e nella società italiana. Se non che la Repubblica è fascista per Pasolini ben prima del 1975, praticamente da sempre, come lo stesso Didi-Hubermann rileva sorpreso nel breve scritto sul poeta che apre il volume – un fatto perfino evidente nella chiave analitica, il rapporto con la madre, col fratello, con la madre e il fratello, con gli amici (Sergio Telmon), con la Resistenza, col Partito.
Georges Didi-Hubermann, Come le lucciole, Bollati Boringhieri, pp. 100, € 16
venerdì 16 luglio 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento