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Ambiguità – È un passepartout – un ruolo, un criterio psicologico, un chiave letteraria – del riduzionismo intellettuale. Della cultura urbana (borghese), non più di corte (governo) né aristocratica (individuale), che ininterrottamente fa la cultura, dal Settecento a oggi. Dell’unificazione della cultura, fra colta e popolare, in un genere medio, regolato, con canoni classificabili (le storie delle letterature) e per questo semplificati. Su tutte le esperienze cassate della narrazione – della rappresentazione - s’imprime il cachet dell’ambiguità: doppio, mmetismo, ermafroditismo.
Arbasino – Nei testi e infine nelle poesie è lui l’Ingegnere, grande scienziato e sociologo politico, il rap è genere che lui inventa, piuttosto che adattarvisi. Ma oberato dall’irrilevanza (isolamento). Senza colpe, per non essere passato dalle ferree non scritte regole del Partito. Da qui la smania di presenziare, e l’ironia moralistica. Come se parlasse di sé. E gli stilemi che lo disseccano: non raccontano né illuminano la sua intelligenza, anzi ne coprono le indiscutibili verità,
Benjamin – “Le quotazioni dell’esperienza sono crollate”, o “L’arte del romanzo volge al tramonto”. Queste e altre facezie si leggono ne “Il narratore. Riflessioni sull’opera di Nicolaj Leskov”, del 1936, della maturità: “L’arte del romanzo si è fatta sempre più rara”, e “Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso”. I si ppuò domandare cosa significhi questo nell’opera e negli intendimenti di Benjamin. Ma cosa significano per noi? Niente. La scrittura è comunicazione e non propaganda,
Bertolucci, Bernardo – È cineasta sovietico. Riesce bene da comunista di tipo sovietico, negli apparati e nei rapporti di potere, in “L’ultimo imperatore” e in “Novecento”. Si smarrisce nelle storie individuali - è peraltro uomo di tic, in perpetua analisi: non sa di niente “Il confo0rmista”, di “Ultimo tanto”, rivisto a distanza, finita la magia della ragazza dalle grandi tette, si ride, è scombinato il film toscano con Liv Tyler, è calligrafico il “Budda”.
Lo stalinismo, come lo hitlerismo, ha lasciato manufatti artistici solo al cinema, è già stato detto, perché il cinema si presta agli apparati, alla propaganda – la propaganda è immagine. Ma sono manufatti sempre vivi, anzi, la Riefenstahl, splendenti. C’è qualcosa di vero, evidentemente, in questi totalitarismi, nella loro capacità di catturare l’immagine.
Borges – La verità è che era uomo di esperienza. Ha viaggiato giovane, e non per turismo, in Svizzera e in Spagna, ha sofferto il fascismo, il bisogno, la cecità. Come Petrarca, civetta con la biblioteca.
Resta da dimostrare che il mondo è la biblioteca. Se non, appunto, ironicamente.
Ma è heideggeriano integrale! O viceversa. Il Chisciotte ricopiato che è un altro Chisciotte. I sentieri che si biforcano. La vita in biblioteca…
Casanova – Scrisse per “godere una seconda volta”, cioè per sé. Si può scrivere per sé? Improbabile nel suo caso, ma non impossibile: c’è un esibirsi a porte chiuse, in teatrino privato. Non l’esame di coscienza. Una rappresentazione.
Céline- È un longilineo che si era fermato a pensare, la testa sproporzionata sul corpo magro, anche in gioventù, dai tratti però belli, l’occhio glauco, più sorridente che incerto, gli zigomi forti, da amico sicuro, il naso diritto profilato, la fronte illimitata virginale, prima che le rughe precoci la occupassero come onde in rictus inarrestabile.
Ma ha l’odio del declassato. La disperazione anche.
Confessione – C’è sempre un santo, dopo sant’Agostino, nelle confessioni, compresi gli spropositi di Sade, che non cessa d’interrogarsi su Dio. Confessio è del resto l’elogio della grandezza di Dio.
Solo Casanova fa eccezione, che scriveva per “godere una seo0nda volta”.
Dante – Già reazionario per Sanguineti, “Dante era un intellettuale di destra”, conferma Eco sul primo numero di “Alfabeta “, la rivista, “(pensate,… il ritorno all’Impero mentre stavano fiorendo i liberi comuni!)”. Eco è l’intellettuale semplificatore che sta criticando. Non Dante, che viveva una guerra civile. Per non dire del significato dell’unità. Dell’impero come aspirazione all’unità sociale e non come dominio.
Ironia – Si ribalta sull’autore. Lo espone, e anzi lo mette n scena, sotto i riflettori, in recital solitario, antagonista.
Lettore – Nelle parole cerca emozioni. Anche intellettuali – raramente.
McCullers, Carson – La difficoltà di lettura di Carson McCullers, dei suoi prefatori, curatori, critici, viene risolta all’americana (alla Sainte-Beuve?) con la biografia: androgino, ambiguità sessuale, difficoltà di amare, il triste intreccio coniugale. Anzi, nemmeno dalla biografia, che resta approssimata, ma da stili di vita successivi. Letture che vogliono dare un frizzo a materia altrimen ti inerte, ma che non sono all’evidenza verità.
La verità è invece il mondo del Sud, un mondo diverso, fuori dai canoni, urbani, nordici, evidentemente insondato anche in America. Diverso e non assimilabile, ecco la differenza da altre diversità, la provincia del Nord per esempio o le comunità etniche: non riducibile perché solido, storicamente ancorat0o e radicato, e forse, chissà, anche perché è più umano, rispondete a ritmi interiori più umani.
Personaggi e contesti non sono ambigui ma complessi. Non rientrano nel ruolo urbano dell’ambiguità ma fuoriescono, per la complessità e la novità, dai canoni della critica. Critica peraltro legata negli Usa al mercato editoriale. O, chissà, anchilosata: la città ha perduto gli umori e la scrittura s’ingessa. Londra, Parigi, che furono teatro di umanità ridondanti, dickensiane, vittorughiane, sono ormai fondali indistinti di avulsi noir. È lo stesso per le città americane?
In termini urbani, dice la stessa scrittrice del suo personaggio femminile dei “Riflessi”, “aveva una rotella fuori posto”. Fa scattare lei stessa il cortocircuito del canone, o linguaggio dominante. Ma questo è il segreto narrativo, o meccanismo: lo scarto “personale”, il differenziale dalla psicologia letteraria. Più produttivo dello scarto sociale, proprio della letteratura del Sud e in Italia, scontato (“sono cattivo perché sono povero, sono povero perché sono sfruttato, sono sfruttato perché lo Stato è venduto”).
Narrare - È sempre costruire, per quanto in forme aperte, ambigue, erratiche, dispersive. È sempre scegliere e fissare, disporre degli elementi, scrittura automatica compresa, libero corso delle associazioni, flussi di coscienza. Anche i sogni prendono forma nel ricordo, che è narrazione.
Proust – È tutto nella benjaminiana “durata assoluta, paradossale, del Giorno del Giudizio”. È allora autore etnico?
O, essendo Benjamin dichiaratamente etnico, è la caratterizzazione epimenidea - alla Epimenide cretese?
Romanticismo – È maschile? Le scrittrici non sono romantiche: mademoiselle Scudéry, madame de Lafayette, le Duras, Jane Austen, le Brönte, Carson McCullers, Flannery O'Connor.
Romanzo – È un tentativo di dare senso alla vita. Poiché la vita trascorre nella sopravvivenza per lo più, quindi oggi in atti insensati (pendolarismo, gesti ripetuti, discorsi fatti), il romanzo ne riprende le fila. Quello d’autore come, naturalmente, la telenovela. E perfino la soap-opera, che si ambienta nella quotidianità, è un format di vita vissuta nel suo modo più squallido, la ripetitività: avrà un potenziale di catarsi (transfert, identificazione, proiezione) ridotto, e tuttavia efficace.
L’autore è lo stratega, ma ne è anche il fante: il teatro d’operazioni lo può sopraffare.
Come stratega dev’essere soprattutto distaccato. Di poche dee, se non di una sola.
letterautore@antiit.eu
venerdì 16 luglio 2010
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