Bloccare in anticipo la speculazione. Prima, e indispensabile, viene la correzione al bilancio, ne va dell’euro e della ripresa dell’economia, e Napolitano si tiene comunque Berlusconi. È bastato un viaggio, anzi due, uno di Berlusconi a Toronto e uno di Napolitano a Malta, per dare spazio ai protagonisti del ribaltone, che sono poi i tre giornali leader, “Corriere della sera”, “Repubblica” e “La Stampa” e il Tg di “Sky”. Ma il barometro è sempre alla stabilità. Napolitano non vuole identificarsi con le politiche – e le stravaganze – berlusconiane, ma è sempre l’uomo delle istituzioni, come ama dirsi, rispettoso dei ruoli. Prevalente, nell’opinione politica di Napolitano, da capo dello Stato e da ultimo (residuo) internazionalista, è il passaggio parlamentare della manovra di bilancio. Questo è l’unico certo segnale che viene dal Quirinale sulle intenzioni del presidente.
Napolitano non ha gradito la pagliacciata di Brancher. Non è stata la prima, ma in questo come in altri casi precedenti, tiene distinto il ruolo del governo dagli umori del suo capo. A Brancher non attribuisce alcuna colpa specifica (Napolitano istintivamente aborrisce il tribunalismo dei giornali) ma un ottuso provincialismo. Dà più peso alle esternazioni di Fini, dal quale peraltro si sente personalmente molto distante, in quanto è presidente della Camera dei Deputati. Ma si attiene ai fatti: “Non sarà lui un altro Berlusconi di Fini”, si dice, un secondo traghettatore e mallevadore dei suoi passaggi politici, con crisi pilotate o altri espedienti. Se il presidente della Camera vuol “fare” qualcosa, questa volta dovrà farla da solo.
In alcuni ambienti del Quirinale, d’altra parte, la fibrillazione che i grandi giornali sono impegnati a produrre attorno al governo, con le candidature fantasiose di Montezemolo, Tremonti, Casini, suscita molta preoccupazione. Più che il problema intercettazioni, alla presidenza della Repubblica si sa che il nodo centrale è il passaggio della manovra correttiva, con l’adozione della ricetta Merkel, la riduzione ogni anno della spesa pubblica di un punto percentuale: su questo si gioca effettivamente il futuro dell’Italia, senza retorica, dell’euro e dell’Unione europea – “quale che sia il potere di persuasione della grande finanza” (l’incongrua candidatura di Montezemolo sul “Financial Times” suscita preoccupazione più che sorrisi).
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