Riletto dopo la beatificazione di Calabresi, a opera dei familiari e delle istituzioni, è un sano richiamo alla realtà. “Credo che agli onesti questo libretto apparirà addirittura un «giallo» aberrante”, è la conclusione di Camilla Cederna: “Anche perché in un’epoca in cui come niente si sfreccia sulla luna e le più complete diagnosi mediche son fatte dai calcolatori, leggendolo, essi verranno a contatto con una realtà delle più abnormi, offensiva per il buonsenso, repugnante alle coscienze”. È non sapeva che è l’unico testo solido che ci rimane della maggiore tragedia della Repubblica, l’inizio sanguinosissimo del terrorismo, iniziato dentro le istituzioni. Dopo quarant’anni, nessuna ricostruzione di storico, nessuna ricostruzione d’autore (Sofri è parte in causa, e al solito è flebile, evocativo). In loro vece una serie di ecumenismi, appunto parentali e istituzionali, all’insegna dell’“abbracciamoci e pace ai morti”. Che confermano che la verità è sempre nascosta.
Il libretto, che Enrico Deaglio ripubblica in edizione economica (con qualche improntitudine: Pinelli è alto m.1,65, la finestra del salto m.1,68…), è mal connesso ma è onesto. È il resoconto del processo Calabresi-Lotta Continua, cioè del processo che (non) si è fatto per la morte di Pinelli. Corredato da alcune testimonianze dell’autrice in prima persona: la notte della morte di Pinelli, che Camilla Cederna visse minuto per minuto in sequenza agghiacciante, l’incontro senza riserve dell’autrice col giudice Biotti, il giudice del processo incartato, l’invito a cena col nuovo questore di Milano, il resistente integerrimo Allitto Bonanno, che la rimprovera di gettare fan go sulla Polizia, “un corpo che conta quattrocento laureati”. Sullo sfondo l’altro processo che non si è fatto per le bombe, sempre a Milano, del 25 aprile – per le quali Allegra e Calabresi avevano incastrato alcuni anarchici pacifisti milanesi con testimoni falsi.
Le analisi mediche non c’entrano, né la Luna, sono gl inconvenienti della fretta, ma i fatti ci sono. Cederna prima e più di Lotta Continua accusa Calabresi, che conosceva per il piglio atletico e piacione, arrivando a notarne “la catenella a forma di manette che gli brilla sul mocassino”. Il suo è il “j’accuse” di Zola di cui in italia si è sempre alla ricerca, sicuro e smodato. Ma i fatti sono fatti. E nel libretto, pubblicato a caldo a Feltrinelli nel 1971, ci sono tutti, fatti illegali e anche violenti. Il fermo illegale di Pinelli. La mancata verbalizzazione dei suoi interrogatori, durati quassi tre giorni. I falsi testimoni, la professoressa Zublena, il tassista Rolandi, Il tentativo d’infangare la memoria di Pinelli, prima. Poi, la santificazione, da parte degli stessi accusatori. I ritratti inoppugnabili di Pinelli redatti dai cattolici con i quali aveva familiarità, Mario Gozzini, Manghi, Ruggiu. Il ricovero di Pinelli morente al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli senza darne le generalità. Il mancato avviso alla moglie (Calabresi, che pure conosceva personalmente Pinelli, non si scuserà: “Signora, avevamo tanto da fare”), alla madre di Pinelli. La carentissima autopsia fatta firmare a quattro luminari. Le archiviazioni vergognose dei giudici Caizzi e Amati. Senza nemmeno un sopralluogo nel luogo della caduta. I miserabili trucchi degli stessi giudici per coprire le archiviazioni all’opinione pubblica. La brutale ricusazione del giudice del processo Calabresi-Lc al momento in cui stava per disporre la riesumazione del cadavere.
Ci troviamo anche Edmondo Bruti Liberati, prossimo capo della Procura milanese, nipote di Beria d’Argentine, autorevole esponente del Csm all’epoca, giovane uditore al processo Calabresi-Lotta Continua Il famoso procuratore Pomarici di tante indagini sul terrorismo, compresa quella su Sofri,e quindi su Calabresi, che non ci hanno liberato: è un sostituto alle prime armi, poco conosciuto a Milano (qui erroneamente chiamato Guido) ma abbastanza per affidargli indagini sensibili strappate ad altri Procuratori solerti. C’è Gerardo D’Ambrosio, giovane magistrato “di cui non si conoscono le opinione politiche”, e “che tra l’altro ha insistito per averla”, per avere la seconda inchiesta, quella disposta da Bianchi d’Espinosa. D’Ambrosio salverà quattro anni dopo la verità ufficiale e la memoria di Pinelli inventandosi il “malore attivo”, quello che ti fa saltare dalla finestra senza che tu lo voglia – pur definendo la vittima sempre “l’anarchico Pinelli”, mancandogli evidentemente il numero sul polso.
La verità insomma non sarebbe impossibile. Ma resta quella della scrittura: questa scomposta scrittura lascia senza fiato sull’immoralità e l’abiezione del potere in Italia, delle caserme e dei loro giudici. Camilla Cederna, che non aveva pratica di caserme e cronaca giudiziaria, ne dà in poche righe il non perento ritratto: “In questura la trasgressione come regola corrente, in tribunale quella serie di contraddizioni e d’incompatibilità che soltanto nei governi e a livello di magistratura si possono trovare, colpi mancini, tradimenti, sconcertanti ammissioni”.
Camilla Cederna, Pinelli, Saggiatore Tascabili, pp. 153, € 9,50
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