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domenica 11 luglio 2010

Quando l'Europa adottò l'islam, che risate!

Il problema, alla fine, è il voto: se consentire alla nuova maggioranza mussulmana, che si riproduce a tassi elevatissimi, di votare con “un segno ricurvo, che potrebbe essere un mezzaluna”, invece che con la croce. Nella vecchia traduzione, purtroppo, di Gian Dàuli, e con una nota volage di Enrico Ghezzi (Chesterston con Pynchon…), questo romanzo del pub chiuso da un’Inghilterra che già un secolo fa si voleva islamizzare è anzitutto esilarante. E soprattutto per la finezza politica che sottende ogni sua pagina. Chesterston è morto, e quindi non può essere colpito con una fatwa, ma l’editore sì, e forse per questo - per passare inosservato: perché il libro non sia letto, malgrado l’attualità - l’ha redatto di malavoglia.
Prima della fine resta insoluto il problema della canapa indiana. Che non si adotta, ma per un motivo preciso. “Ci sono sempre di mezzo quegli assassini”, considera il Lord Protettore dell’islam, cioè gli Hashishin, terroristi del Vecchio della Montagna, “e inoltre i loro rapporti con san Luigi li discreditano alquanto” – l’hashish non si adotta perché gli Hashishin erano stati in contatto con la cristianità.
In sospetto per la professa cattolicità, e per questo diminuito, Chesterston è probabilmente lo scrittore di maggiore fiuto e capacità politica del primo Novecento – “concretezza fantastica dell’astratto”, dice Ghezzi; no, concretezza fantastica del reale, perfino del politico. L’Inghilterra (l’Europa), da poco finita la lunga agonia di uno dei molti e vani sforzi diretto a spezzare la potenza della Turchia e a salvare le piccole tribù cristiane”, adotta l’islam. Religione del “crescente” e quindi del progresso, eccetera, per il bene degli alcolisti, delle donne (non più tenute alla fitness), degli uomini (l’Alta Poligamia). Per finire ai quadri, di cui il nobile islamizzante deve privarsi, come di ogni immagine.
Un pretesto per una critica dell’Inghilterra un secolo fa, dal Parlamento alle strade, “le barcollanti strade inglesi”, in prosa e in versi. Di un Chesterston in forma, in grado di recuperarle situazioni più disperate – che più incontrano il senso comune. Non sotto forma di complotto, com’è l’uso oggi, né di persecuzione, ma svagata – sulla crosta razionalistica dell’eugenismo, dell’igienismo, dell’aristocratismo cui l’Europa ambisce. Un’Inghilterra che sembra anticipare in copia l’Unione Europea di oggi, così regolamentista, politicamente corretta, e anticristiana. Il “moderno filantropo” non rinuncia mai al superfluo, rinuncia “alle cose più semplici e più comuni: al manzo, alla birra, al sonno”, alle cose che lo accomunano al popolo, per essere quindi speciale, e “perché questi piaceri gli ricordano che egli è solo un uomo”). Da qui il sottile effetto comico, che regge le trecento pagine.
Gilbert K. Chesterston, L’osteria volante, Bompiani, pp. 321, €8,40

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