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domenica 25 luglio 2010

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (63)

Giuseppe Leuzzi

Al famoso libro XIV, della civiltà che va col ghiaccio, Montesquieu dice la sua verità assoluta: “Troverete nei paesi settentrionali popoli che hanno pochi vizi, parecchie virtù, molta sincerità e franchezza. Avvicinatevi ai paesi meridionali, e vi sembrerà addirittura di allontanarvi dalla morale: passioni più vive moltiplicheranno i delitti: ciascuno cercherà di prendersi sugli altri tutti i vantaggi”.
Ora che siamo andati a Nord sappiamo di quante castronerie è imbottito Montesquieu. Senza contare i delitti. Nei quali, malgrado le mafie che infestano il Sud (cioè malgrado i Carabinieri), il Nord arriva sempre primo.

C’è un comune di 34 abitanti, si chiama Pedesina, ed è in provincia di Sondrio. Non ha abbastanza abitanti per fare due liste comunali in lizza alle elezioni. E ce n’è un altro di 36 abitanti, Morterone, in provincia di Lecco. Ma nessuno ne ha mai parlato, non sono nel Sud.
Lo si viene a sapere perché a Morterone hanno il record dei trasferimenti pubblici per abitante, diecimila euro a testa. Una delle solite statistiche senza senso. Ma lo si viene a sapere senza acrimonia, senza nemmeno ironia.

Il Sud è l’unica grande invenzione, letteraria e storica, dell’Italia unita – piemontese, risorgimentale. Perfida, distruttiva, durevole. Vera? L’opinione pubblica ha persistenze insospettate, ci sono voluto due-tre secoli a Gesù Cristo per farsi conoscere nella sua vera natura. In questo caso la sua persistenza è l’interiorizzazione: la creazione del Sud da parte del Sud stesso.

L’odio-di-sé meridionale
Molto folklore del Sud nasce con i viaggiatori, italiani, europei, del Sette-Ottocento. Ma i viaggiatori facevano riferimento alle borghesie meridionali, le sole in grado di ospitarli e indirizzarli, e ne riflettono, osserva Piero Bevilacqua, “il calco negativo di un idealtipo settentrionale rielaborato dagli intellettuali meridionali” (Prefazione a Nelson Moe, “Un paradiso abitato da diavoli”).

La frase più nota di Gladstone, la più citata in Italia, è dalle sue “Lettere” da Napoli, dove viaggiò con l’amico, economista celebre, William Nassau Senior, ed è una citazione: del regime borbonico “ho visto e sentito usare questa forte e vera espressione: è la negazione di Dio eretta a sistema di governo”. La peggiore condanna di Napoli, insomma, è creazione di Napoli.

In un saggio su Verga, “La poetica geografica di Giovanni Verga” (compreso in “Un paradiso abitato da diavoli”), l’italianista americano Nelson Moe ricostruisce, con la corrispondenza dello stesso Verga, la genesi del suo speciale verismo nel gusto lombardo, dei lettori de “L’Illustrazione Italiana” e degli editori Treves e Torelli-Viollier, per un Sud pittoresco e primitivo, pittoresco perché primitivo. Verga prontamente si adeguò. Ne nacquero capolavori, è vero. Ma quanto pesano.

A Firenze 30 mila metri quadrati, tre ettari di cemento, alti una decina di piani, 130 miliardi di quindici anni fa, che dovevano essere la sede dell’Agenzia delle Entrate, non sono mai stati utilizzati e giacciono abbandonati. Sul Lago di Como è stato costruito un insulso muro frangiflutti, a un costo inferiore, certo, ma che bisognerà abbattere. Sul Lago Maggiore un grande impianto natatorio è crollato prima del collaudo, migliaia di tonnellate di cemento armato. Chi ne sa nulla? In compenso, ogni opera, anche minuscola, abbandonata al paesello natìo viene prontamente e insistentemente segnalata dai civilissimi meridionali ai Giannistella e Sergirizzi, a “Report” e a “Striscia la notizia”.
O il Pala Babele di Cantù, capitale dell’operosa Brianza, un palazzetto dello sport disegnato dall’archistar Gregotti e irrealizzabile, che ha richiesto venticinque anni e molti milionimiliardi per poi essere demoli to – una catastrofe di cui, quando (poco) se ne parla è per dire “un altro porto di Gioia Tauro”, “un altraSalerno-Rc”. Per non dire di Malpensa, lo scandalo più grande e più lungo della Repubblica di cui mai si parla.

Il controllo del territorio
Si viene fermati, viaggiando per l’Aspromonte, praticamente a ogni partenza in automobile. Da carabinieri puntigliosi – anche da poliziotti, ma questi lo fanno per farlo. Tutti comunque segnalano la vostra presenza, all’ora X del giorno X nel posto X, in compagnia di un presumibile X o una Y, a un cervellone centrale. Che non saprà che farsene, ma è triste, è come essere pedinati.
Lo stesso è triste entrare da un conoscente, o anche soltanto in un negozio, sapendo che si sarà ascoltati dalla Dia, dai Ros, o da qualche malevolente (anche dalla Dia contro i Ros, e viceversa). Che tutte le scemenze che capiterà di dire verranno registrate, catalogate, e un giorno in qualche modo imputate, sicuramente in privato, nelle note di servizio dei brigadieri. Grazie anche ai rigori della leggi incerte tipo l’associazione esterna. Combattono l’umanità per non prendere i mafiosi, che tutti conoscono?

Pentiti
Nel racconto di Flannery O’Connor “Un buon uomo è difficile da trovare” il male svanisce. “Uccidere un uomo o rubare un copertone”, il delinquente abituale non ne ha ricordo, “Ho scoperto che il delitto, in sé, non conta. Puoi fare una cosa come un’altra, uccidere un uomo o rubargli un copertone della macchina, presto o tardi te ne dimentichi, ti prendono e amen”.
L’argomento è trattato di striscio dalla letteratura del pentimento (che non è molta: Theodor Reik, "Mito e colpa" e "L'impulso a confesare", e Cesare Musatti, "Psicologia della testimonianza"), l’indifferenza etica del criminale, l’insensibilità. Ed è trascurato dalla normativa sui pentiti, che fa del ricordo un dato euristico, come il giorno e la notte, o le stagioni. Del ricordo di un criminale, per il quale i fatti della vita che per una persona civile sono eccezionali, il pizzo, i dispetti, le bastonature, gli assassini, sono il normale soffio della vita. No, i pentiti della legge sono solo un utensile nelle mani del giudice. Tanto più, curiosamente, quanto più sono numerosi: i 25 di Mannino o i 28 di Giacomo Mancini. E hanno presa principalmente in chiave politica – nessuno ricorda i pentiti di Mancini, che pure ci sono stati, concordi al solito, riscontrati, veridici, e poi azzerati dal processo. Anche quelli che hanno detto qualche verità, come Buscetta o Brusca. Nessun pentito (italiano, mafioso) ha portato all’intercettazione di un’azione delittuosa in corso, alla cattura di un latitante, allo smantellamento di una rete mafiosa in atto. Nel loro universo di mafie vincenti e perdenti, seppelliscono i perdenti.
L’infamia è nota della legislazione premiale. I pentiti parlano per gli sconti di pena. E per la pensione, il premio di reinserimento, la protezione (un mafioso è sicuro di morire comunque ammazzato per mano di altro mafioso, la protezione gli allunga la vita), e perfino (Saro Mammoliti in Calabria, i Piromalli), per mantenere proprietà e capitali estorti. Ma c’è di più: il carattere indistinto dei loro ricordi, a monte della strumentalità, è tema ancora intonso. Un killer come Spatuzza, autore riconosciuto di un centinaio di assassinii, nel mezzo di altre centinaia, migliaia, di azioni delittuose (minacce, vessazioni, esazioni, attentati, bastonature, ferimenti) nell’arco di un decennio, non può ricordare, se non ricostruendo. In sé è un archivio vuoto. Non può avere avuto alcuna coscienza (sensibilità) nel corso di questa attività: il delitto di mafia, quotidiano, non è dostoevskjano ma meccanico, istintuale. Come mangiare, andare di corpo.

leuzzi@antiit.eu

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