È troppo tempo ormai che non abbiamo più notizie di Verdini e Bertolaso. Ogni giorno ne avevamo paginate piene, confidenze esclusive affidate da inquirenti di varia natura, giudici e colonnelli della finanza, alle signore della giudiziaria. Ma da quando, Bertolaso prima, Verdini dopo, hanno chiamato delle conferenze stampa per dire: “Smettetela!”, la confidenze hanno smesso di profluire. O le signore hanno deciso di non pubblicarle più. O i loro giornali. In base al diritto-dovere all’informazione?
Si capisce da questi repentini mutamenti di registro quanto la libertà dell’informazione sia ipocrita in Italia. Dove l’informazione viene fatta a uso esclusivo di pochi interessi, non pubblici. Non cioè dichiarati, politici per esempio, sociali, ideologici, ma accuratamente coperti e quasi sempre truffaldini – di chi dichiara di volere una cosa e ne persegue invece con pervicacia un’altra. La schiera dei media “democratici” offrirà un vasto campo da dissodare agi storici, e sarebbe oggi materia di analisi estremamente interessante per dei semiologi o studiosi del linguaggio, se ce ne fossero.
Il lettore, di sinistra e anche di destra, è solo quello che porta il suo obolo quotidiano a questi interessi. Di cui conosciamo peraltro i soggetti portatori e quindi, è presumibile, la modestia degli orizzonti, De Benedetti, Bazoli, Passera, l’uomo della famosa cricca Di Pietro-De Benedetti, allargato a Fini, i piccoli feudi politici (la banca, l’energia, l’istruzione e l’università per gli ex Dc, la rendita urbana e la grande distribuzione nelle regioni ex rosse), le molteplici cordate di affari, che si proteggono con la questione morale. Lo statalismo si è dissolto lasciando isole sparse di potere surrettizio, di cu facciamo le spese, anche come lettori.
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