Il falso processo a Dreyfus fu il primo golpe giudiziario moderno (Cicerone ne conosceva altri), e l’innesco dell’antisemitismo radicale del secolo ventesimo, di cui poi “I protocolli dei Savi di Sion” getteranno i dettagli: la base è il complotto ebraico di dominazione mondiale, nello scandalo Dreyfus definito “sindacato”, mentre la Russia, che redigerà e avallerà i “Protocolli”, è nello scandalo Dreyfus, dice Zola, “la nostra migliore alleata, che sa bene la verità su Dreyfus”.
Questa è la raccolta di tutti gli scritti di Zola sul processo Dreyfus, di cui aveva trascurato il primo episodio, la prima condanna nel 1894, che da Roma, dove trascorse quell’anno, seguì distrattamente. Il processo Dreyfus fu in realtà sei processi, due di condanna di Dreyfus benché lo si sapesse innocente, uno di assoluzione di un altro ufficiale, il comandante Esterhazy, che invece era spia acclarata dei tedeschi, uno a carico del colonnello Picquart, il capo dei servizi segreti che scoprì il tradimento di Esterhazy, e due contro Zola, entrambi conclusi con la condanna, a un anno quello penale su querela del ministro della Guerra e del Consiglio di guerra, e a trentamila franchi di multa quello civile intentato dai tre grafologi che avevano autenticato le lettere false di Dreyfus. Processi per modo di dire, in realtà procedure di condanna, in esecuzione degli ordini del governo e dello Stato Maggiore. Zola evitò il carcere fuggendo a Londra. Sullo scandalo poi scese l’amnistia, contro cui lo scrittore protesta in questa raccolta vivacemente (“il mostro”, “la legge scellerata”, “una legge di strangolazione”, la definisce in una vigorosa “Lettera al Senato”). Ma i tre grafologi falsificatori non gli resero i trentamila euro.
Il caso, è bene ricordarlo, non fu solo di politica giudiziaria. Fu un tentativo di golpe giudiziario della destra – Georges Sorel incluso, che in Italia ha avuto diversa fama. I nazionalisti, affermerà Daniel Halévy nel 1941, avevano fatto “venire degli assassini da Algeri”: Halévy, l'amico di Proust al liceo, era stato dreyfusardo battagliero, al contrario del futuro scrittore, ma nel 1941 si era messo e scriveva all'ombra di Vichy. Il golpe giudiziario si sgonfiò nell’agosto 1898, quando Cavaignac, un ministro civile della Difesa, indusse alla confessione il tenente-colonnello Henry, che aveva redatto materialmente il falso documento tedesco in cui si nominava Dreyfus quale spia. Ma non si sgonfiò subito. Il 18 luglio 1898 Zola fu condannato a un anno e partì per Londra. Il 26 luglio fu sospeso dalla Legione d’onore. Il 10 agosto fu condannato in appello per diffamazione contro i grafologi, con la multa raddoppiata a trentamila franchi. Il 31 agosto Henry confessò il falso – dopodiché si suicidò. La procedura di revisione in Cassazione del processo di Zola partì solo il 26 settembre, e si trascinò per nove mesi, con l’ordine d’istruire un nuovo processo. Dall’8 agosto al 9 settembre 1899, un anno dopo la confessione di Henry, Dreyfus, rimpatriato appositamente dall’Isola del Diavolo, verrà giudicato su accuse ormai dichiarate false, e condannato nuovamente.
Tutte le tappe dello scandalo si svolsero con grande clamore. Anche il rimpatrio e la seconda condanna di Dreyfus dopo la confessione del colonnello Henry. Zola, convinto alla causa di Dreyfus da Marcel Prevost, si era occupato del caso già da un anno prima del “J’accuse…!”, con articoli su “Le Figaro”, il maggior giornale di Parigi, e con pamphlet pubblicati in proprio, per evitare di coinvolgere il giornale nelle sue opinioni, prima della celebre “Lettera a Félix Faure”, il presidente della Repubblica, di cui aveva preparato la pubblicazione in proprio e che invece Clemenceau volle per il giornale “Aurore” di cui era redattore capo, pubblicandola a grande tiratura col titolo poi famoso a caratteri cubitali. Ovunque andasse, Zola era circondato da folle inferocite contro il suo presunto antipatriottismo. A un certo punto si dovette difendere dall’accusa di essere italiano, essendo suo padre di origine veneta.
Il “J’accuse…” è la protesta contro l’assoluzione scontata di Esterhazy, scritta a caldo nelle stesse ore in cui il Tribunale si pronunciava, un’udienza per il dibattimento e venti minuti di camera di consiglio, per l’assoluzione. L’“io so” di Zola non è quello di Pasolini, l’umore sdegnato, ma l’esito di un imbroglio scoperto, quasi esibito: non è frutto d’immaginazione ma di chi la politica poco poco conosce, che non ha segreti, o ne larvati. Con questo falso processo, è l’argomentazione principale di Zola, la Francia si con fessa debole. Non solo con la nemica Germania ma anche con l’amica Russia.
Emile Zola, J’accuse…! La vérité en marche, Complexe, pp. 246, € 9,90
domenica 22 agosto 2010
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