Tutti i giornali, con le sole meritorie eccezioni del “Messaggero” e del “Sole”, con due e tre lunghi articoli al giorno, ormai da più di una settimana, il tempo canonico delle notizie vuote, e interviste canicolari e decisive sotto l’ombrellone a al largo di Lipari, quando non di Sumatra, imperversano sulla questione se conviene, ai grandi mentori dell’Italia, pubblicare i loro libri con Einaudi o con Mondadori. Paginate che si pubblicano non per fare pubblicità a Einaudi e Mondadori, come sarebbe lecito supporre, ma per porre un problema di coscienza – la questione è stata posta da un teologo: se si possano pubblicare i propri libri con le case editrici del nemico Berlusconi, uno che vuole abolire la libertà di stampa, liberare i mafiosi, e anzi finanziarli, e vendere Lampedusa a Gheddafi. Una questione che altrove sarebbe stata liquidata per quello che è, la furbata di un autore.
È l’indice di un bassissimo livello, la temperie si diceva una volta, culturale. Ma anche del perdurante sovietismo. La stessa cosa succedeva già quarant’anni fa, anzi un po’ prima. L’estate del 1969, occupata dal golpe preannunciato dall’editore Feltrinelli con un opuscolo, le sue librerie in via preventiva espurgavano, anzi fisicamente espungevano dagli scaffali, i libri degli editori Adelphi, Rusconi, De Agostini e Rizzoli, eccetto la Bur, titoli infidi. Feltrinelli era un editore, oltre che un politico, tutto particolare. Pubblicava nel 1969 Salvemini, era al dodicesimo volume, "Settore privato" di Léautaud, libri sul come farlo, a letto e al mare, e i testi della rivoluzione. Ma non Cohn-Bendit: “Non voglio libri di anarchici”, diceva. Le impiegate in casa editrice avevano ancora il grembiule, azzurro. Ma si sa che sempre la purificazione comincia dai libri. L’unica differenza è che ora l’anatema è lanciato non dai veterocomunisti, insomma da quelli per i quali il comunismo è un sogno e il Muro non è caduto, ma dai teologi, gente che parla con Dio. Se non altro per diventare Famosi.
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