Giuseppe Leuzzi
Protesta la pia Gelmini per i troppi 100 e 100 e lode dispensati al Sud alla maturità. Ma quasi tutti sono stati dati ai licei vescovili, gli ex seminari.
Anche le invalidità si giustificano. Se ne riconoscono di più al Sud perché il Sud è povero e quindi si nutre male, e il lavoro vi si fa senza precauzioni, anzi fuorilegge – sennò, che ci starebbe a fare il Sud?
Mafia, ecco l’etimologia che mancava. L’ha trovata il nuovissimo vocabolario “L’Etimologico” dei professori Alberto Nocentini e Alessandro Parenti, pubblicato a Firenze da Le Monnnier: viene da Maffio, variante popolare di Matteo. La mafiosità di Maffio-Matteo i due professori derivano dal vangelo di Luca dove si dice che Matteo festeggiò la conversione con un banchetto, “manifestazione di lusso spocchioso”.
Mafia, aggiunge la coppia, non ha nulla a che spartire con l’arabo mahyas, smargiasso.
Per la festa della Madonna di Polsi, la Madonna della Montagna (Aspromonte), i CC diffondo, e il “Corriere della sera” pubblica in bei colori, la foto di una diecina d’uomini attorno a una stele del santuario, con la didascalia: “La riunione al santuario di Polsi dei capimafia” l’1-2 settembre 2009. Ma non si chiede perché non li hanno arrestati.
Questa la didascalia esplicativa del “Corriere della sera”: “Tra l'1 e il 2 settembre, a Polsi, in Aspromonte, si celebrano i festeggiamenti in onore della madonna della Montagna. L'anno scorso, proprio in occasione della festa, l'Antimafia di Reggio Calabria filmò il raduno dei boss della 'ndrangheta. La riunione avvenne nel Santuario, e in quell'occasione vene eletto il capo dell'organizzazione criminale”.
Malgrado tutto, la cosa dev'essere sembrata abonrme allo stesso giornale, che si cautela con un articolo dell’antropologo Vito Teti dell’università della Calabria. Ma il professore s’impiglia in una serie di parole virgolettate, cioè private di senso, per non saper che dire - salvo citare naturalmente Corrado Alvaro. Di Polsi che è probabilmente il luogo di culto con più continuità in Europa, perpetuando il culto locrese di Demetra-Persefone. Oltre che un luogo di grande religiosità.
Sicilia
La “Gazzetta del Sud” è un antico giornale che Messina fa per la Calabria. Ma fa per la Calabria cronache locali avulse dal resto professionalissimo del giornale: vecchie spesso, anche di tre settimane, e piene di delitti, anche minimi (il furto di un motorino, l’incendio di un cassonetto), di feste patronali e processioni, e di elenchi di assessori e consiglieri. Perfino lo sport calabrese è diverso dallo sport nazionale.
La Calabria è probabilmente come la “Gazzetta del Sud” la vede. Ma questo è l’antico modo di essere del Sud, antecedente alla squalifica postunitaria, che vede la Calabria vittima della Sicilia, oltre che di Napoli.
È la maniera d’essere della Sicilia, non solo nei confronti della Calabria: il disprezzo del mondo. Messina, che è stata la capitale culturale e commerciale della Calabria per circa un secolo, da un trentennio ormai è una cittadina isolana senza carattere, depressa, un luogo d’attracco dei traghetti.
Messina prima del terremoto era una delle città più ricche della Sicilia e del Sud, anche di cultura. Melville vi assistette alla prima del “Macbeth”, ancora incompiuto, diretta da Verdi. Dalla sua università passavano i più bei nomi: Pascoli, Debenedetti, Salvemini, Galvano Della Volpe, Santo Mazzarino, Giorgio Pasquali, Marialuisa Spaziani, Alessandro Passerin d'Entrèves, Amaldi, la serie è lunga. La ricostruzione ne fece una città di clientele.
A Manlio Cancogni, iperbole del toscanaccio, non piaceva Sciascia. Ora che ha 94 anni torna a Ferragosto sull’“Espresso” che aveva dovuto abbandonare, e critica il moralismo di Sciascia: “Non credo a un siciliano così indipendente e così giudicante”, dice. Che non si può dire razzista: la Sicilia non dà buona immagine di sé.
Milano
Oh, sorpresa, Milano non cessa di stupirsi dopo la chiusura di due discoteche per droga. Una cosa che in città sanno anche i muri, solo i carabinieri e la Procura ne erano all’oscuro. Milano che, anche questo lo sanno tutti, è la capitale della droga. Della cocaina, certo, “la droga invisibile”. Smerciata dai serbi, certo, non dai milanesi. Anche a domicilio, la cosa è nota ai condominii. Pulitamente, certo.
Tremonti spiazza tutti con Berlinguer – lui che era craxiano : bisogna guadagnare poco, per spendere poco. Cinismo? È la superiore intelligenza lombarda. Infatti ai ciellini di Rimini, che anch’esso odiavano Berlinguer, è molto piaciuto.
“Non facile il calendario dell’Inter”, annuncia il “Corriere della sera” in prima pagina. Si giocherà il girone preliminare di Champions League con squadre di terza fila.
Fabrizio Corona dice che si sniffa a Milano ovunque, “a palazzo di Giustizia e in tutti i locali”, facendo inorridire il virginale “Corriere della sera”. È per questo che Milano lo odia, e l’avrebbe voluto ar gabbio, perché dice la verità?
La prima pagina del “Corriere della sera” non ha spazio per la cocaina di Milano, benché corredata di starlettes e grossi papaveri. E di quegli aitanti silenziosi serbi che la recapitano a domicilio, che in qualsiasi altro posto farebbero golosa materia di reportage. Ne ha per le Adsl di Reggio e Palmi. A opera di un calabrese, Sergio Rizzo, con cui il giornale ha sostituito nel dileggio il veneto Stella, non si può rimproverare una mancanza di gusto.
Da Montanelli a Chiara Moroni non si contano più gli ingrati, la seconda moglie compresa, che devono tutto a Berlusconi e gli si rivoltano contro, lo spiano, lo denunciano. Si dirà che è la sorte dei dittatori, di essere traditi dai famigli, e che dunque Berlusconi è un dittatore. È possibile, il sillogismo è ineccepibile, anche se Berlusconi vince solo alle elezioni. Ma è un dittatore, a giudicare dai ribelli, di poco di buono. Non un Garibaldi della destra, nemmeno un Giolitti del malaffare. C‘è molto di craxiano, è vero, in questi tradimenti, e anche di mussoliniano – le “contesse” per esempio, ora chiamate veline. C’è molto di Milano?
Marina Berlusconi si querela contro il giudice Tescaroli che in un lontano libro ha detto spensierato che la Fininvest riciclava i fondi della mafia, e finanziava Riina, dopo un incontro dello stesso con Berlusconi padre. Il giudice Tescaroli dice che lui non l’ha detto, che riferiva quanto ha detto un certo Cancemi, assassino del giudice Falcone – un falso pentito, poi giudicato inattendibile, benché non dal giudice Tescaroli evidentemente (era uno che “ragionava”, sic!, sull’incontro tra Berlusconi, il Ricco d’Italia, e il suo dio Riina, ma era anche uno che accusava le cooperative e il Pci, la mafia era allora equidistante, non aveva capito, pensava semrpe che comandasse la Dc, non aveva capito la diversa geometria delle Procure). E questo quadra: i giudici sono anche loro del qui lo dico e qui lo nego, non ricattatori naturalmente, né diffamatori, solo furbi in attesa del Senato. Ma non si capisce come la Berlusconi si aspetti di avere ragione da un tribunale contro un giudice.
O non sarà che i Berlusconi mettono nel mirino l’editore del libro, che è lo stesso del “Corriere della sera”? In linguaggio mafioso la querela si chiamerebbe “avvertimento”. A Milano?
Nella raccolta “Come polvere o vento” la poetessa milanese Alda Merini dà un esempio ante litteram, del 1986, di lombardismo, “La siciliana”. È costei una “furbona”, una fruttivendola, che “guarda i milanesi\ come fossero bestie\ e bestie lo sono certo\ se danno pane e companatico agli altri”. La siciliana è una dei tanti che “spaventano i milanesi\ con la loro bella faccia tosta\ lavata dai mari del Sud”.
Alda Merini era a Milano reduce da Taranto, da un matrimonio sfortunato, di poco più di un anno, con il poeta tarentino Pierri. A Pierri e ai suoi familiari aveva dedicato un’antologia classicheggiante di rara umanità, compresa nella stessa raccolta. E in particolare, a Mimma Pierri, un generoso elogio etnico, “Le donne del Sud”.
“La fine di Mussolini è stata spaventosa”, ancora dopo molti anni Ernst Jünger provava orrore per piazzale Loreto, negli “Entretiens” con Julien Hervier (1986). Gli ricordava la fine dell’imperatore Vitellio, “trascinato nel Tevere con un uncino”. Con una moralità: “Le reminiscenze sono molto forti nel caso di Mussolini, in particolare il fatto che i suoi boia erano quelli che l’avevano acclamato la vigilia”. Dopo avere imposto Mussolini all’Italia, non c’era milanese che non lo odiasse, è ovvio.
Antimafia
È un universo altrettanto opaco della mafia. Violento, anche se non spara. La vera sua differenza dalla mafia è che è una politica, e quindi anche colpa nostra. Sciascia ne ha capito la pericolosità all’ultimo, e ha reagito scompostamente (Borsellino).
È l’ultimo attacco al Sud, con la tecnica della guerra totale: radente, su tutto l’orizzonte, con i rastrellamenti contro possibili secche. È stata terrificante. Oggi è sterile (la vera antimafia la fanno gli arresti, e le condanne): medaglie al valore scambiate reciprocamente, in piazze solitarie, sotto scorta abbondante. E piccoli “posti”, questo sì.
Il colonnello De Donno, ex Capitano Ultimo della cattura di Riina, è andato a Palermo ai primi di luglio e ha detto una cosa che tutti vedono: “Abbiamo sconfitto una mafia, la mafia più violenta, e questo è un fatto: abbiamo sconfitto la mafia”. Ma nessuno se l’è filato, nessun giornale, nessun telegiornale, giusto poche righe di agenzia. Il Sud non merita misericordia. E nemmeno i carabinieri dei Ros quando un paio di giudici si dedicano a perseguire i carabinieri piuttosto che la mafia.
De Donno ha parlato a Palermo, dove è sotto processo insieme col suo ex comandante, generale Mori, per vilipendio della Procura. Gli imputano di avere catturato Riina per conto di Provenzano. Ma in realtà per avere detto quello che tutti sapevano e nessuno ha ma negato, che alcuni Procuratori di Palermo tenessero bordone ai mafiosi di Corleone, Ciancimino, Riina, Provenzano & Co., peraltro i più spietati.
Michele Costa, figlio del procuratore della Repubblica di Caltanissetta Gaetano, assassinato trent’anni fa dalla mafia, dice a Palermo, alla privatissima celebrazione del 5 agosto 2010: “Sull’omicidio di mio padre si è indagato superficialmente”. Cioè non si è indagato. Sull’omicidio di un Procuratore della Repubblica.
Michele Costa accusa la Procura di Palermo, nelle persone dei sostituti Sciacchitano e Lo Forte. A essi fa risalire la divulgazione confidenziale, agli avvocati dei mafiosi indagati, delle indagini che suo padre Gaetano aveva condotto. La divulgazione delle dichiarazioni del pentito Marino Mannoia in merito all’omicidio dello stesso Costa. La pronta liberazione di Tommaso Buscetta, che l’assassinio del procuratore Costa s’era prestato a declassare a “bravata”.
Ma Michele Costa non è stato avvocato del giudice Lo Forte che i Ros, ora sotto accusa, accusavano di non aver voluto indagare?
leuzzi@antiit.eu
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