I colonnelli di Fini Bocchino e Granata fanno senza vergogna un tour delle Procure della Repubblica per raccogliere “indicazioni”. Si è sempre sospettato che fossero “indicatori”, confidenti cioè, come tanti inquisiti assolti. Ma dichiararlo è una novità. Le indicazioni che gli onorevoli vanno a raccogliere non riguardano naturalmente i loro nemici politici, bensì la riforma della giustizia, ci mancherebbe. Ma sono tanto impuniti da andare solo nelle Procure, non nei tribunali, per esempio, o nelle corti d’Assise o d’Appello: solo i Procuratori della Repubblica sono coinvolti nel processo, gli altri giudici evidentemente non contano.
La cosa è ben fascista, legare le Procure della Repubblica a un partito, per di più di governo. E del resto sa da un ventennio, era il 1989 che il procuratore Cordova metteva tutti i partiti di governo alla sbarra, prima ancora di Mani Pulite – e forse ha dato l’idea a Milano. I finiani erano allora fascisti, e l’attacco antisistema si spiega. Ora non più: Bocchino e Granata vanno dai procuratori a raccogliere indicazioni soltanto contro i progetti di riforma della giustizia del Pdl, il loro partito. Contro il Pdl di Berlusconi.
È un ritorno al più brutto correntismo nei partiti, che si può deprecare ma è lecito. Ma andare a sentire gli umori, e i sospetti, dei Procuratori della Repubblica contro Berlusconi, questo è talmente illegale da sembrare impossibile. Se non che nulla è impossibile per un giudice italiano, in questo golpe continuo in corso da diciotto anni: la questione morale è la questione morale stessa.
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