lunedì 23 agosto 2010

L’ipocrisia di Magris

Claudio Magris ha scritto venerdì sul “Corriere della sera” un editoriale contro il linguaggio volgare dei politici, anzi contro la sua supina se non entusiastica accettazione, contro la voga della volgarità. Ma alla Santanché, che gli ha scritto rivendicando il diritto di dire “merda!” a Fini, ha risposto con lo “sdegno” e il “disprezzo” che censurava nell’articolo. E all’onorevole Stracquadanio, che gli contestava una citazione sul “caso Boffo”, e accennava alle sue simpatie di sinistra, Magris, già senatore della coalizione Patto per l’Italia-Progressisti, incubatrice dell’Ulivo, oggi replica: “Non sono mai stato né comunista né vicino al Partito comunista, cosa d’altronde ovvia per un elettore del vecchio Partito repubblicano italiano”.
Il problema è forse nell’impostazione. Magris, riprovando l’indecenza, giustifica l’ipocrisia: “L’ipocrisia, pur spregevole, è pur sempre, com’è stato detto, l’omaggio del vizio alla virtù e indica che una società possiede almeno il senso dei valori o, più semplicemente, di quelle forme che non sono vuota o rigida etichetta, ma espressione di reciproco rispetto”. Ciò che non è il caso storico italiano, dove la contumelia è un tentativo di reazione a decenni d’ipocrisia, sul comunismo, sia pure italiano, sul compromesso, sulla cosiddetta rivoluzione all’italiana, che è a tutti gli effetti un golpe istituzionale, sulla questione morale che alcuni fra i più impuniti moralisti agitano. Ed è nata a sinistra, col “vaffa” di Beppe Grillo.
L’ipocrisia appunto. In politica non si può negare il fatto. Si può interpretarlo, aggiornarlo, correggerlo, anche radicalmente pentirsene, ma dire io non c’ero quando uno c’era, questo non si può. Perché la politica non è un libro chiuso, è sotto gli occhi di tutti. L’ipocrisia che Magris giustifica è una forma di capacità dialettica, non un’etica accettabile benché distorta, l’etica è una.

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