Si traduce tutto di Dickie, anche le ricette di cucina italiane (interpretate da un inglese… ), e la storia della mafia giornalistica, ma non questo breve e innovativo tomo di storia, pubblicato già nel 1999. Dickie si definisce nei suoi libri di mafia e cucina un giornalista scrittore, ma in questo testo di appena 220 pagine, quattro saggi (“Il brigantaggio” p. 25, dopo una lunga traduzione, “La nascita della questione meridionale”, p.53, “L’Illustrazione Italiana. Il potere del pittoresco”, p.83, “La sicilianità di Crispi” p. 121), corredato da quaranta pagine di note e venti di bibliografia, anticipa il tema del “Sud” creato artatamente con l’unità. Un tema poi sviluppato dal sociologo americano della letteratura Nelson Moe in “Un paradiso abitato da diavoli”. Dickie parte svelto con la conclusione: creare un’identità nazionale può implicare “l’uso di un «altro»”, per l’Italia unita questo “altro” è stato uno speciale Sud, fatto di violenti, briganti e ignoranti.
La ricerca è palesemente condotta in parallelo con Moe, che pubblicherà l’anno successivo. Sono troppe le cose in comune: temi, ipotesi, perfino fraseologie. Ma non sono rimandi reciproci: il ”Sud” è malattia contagiosa? O l’etica anglosassone non è diversa. L’assunto certo non è arduo, e anzi a disposizione di tutti, con un po’ di buona coscienza, se centocinquant'anni di unità non hanno nemmeno avviato la soluzione del problema Sud.
John Dickie, Darkest Italy, Palgrave Macmillan, pp. 240, $ 90
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