Napolitano non vuole incontrare Gheddafi, che è dopotutto un capo di Stato, e allora s’inscena la mancata comunicazione al Quirinale della visita da parte del ministero degli Esteri. Che è esattamente la sindrome gheddafiana, l’estemporaneità. Mentre lo stesso Napolitano prende gusto, in mancanza di meglio, alla sceneggiata politica quotidiana, e dall’intervento quotidiano su qualsiasi argomento passa all’ironia e agli sfottimenti. Anche dove meno uno se lo aspetterebbe, a Venezia, e a Venezia al festival del cinema. Una visita che sembrava un ottimo segnale, un capo dello Stato capace di sgranchirsi la mente. Ma è divenuta un inciampo e un incubo. “La bussola del colle” è il titolo di qualche commento, ma è una bussola che non ha più il Nord.
Uno dei migliori, se non il migliore negli ultimi decenni, presidenti della Repubblica, praticante della Costituzione, equilibrato, guida politica accorta, scende, non al livello del golpista Scalfaro né a quello demenziale di Cossiga, ma solo poco più su, alla chiacchiera da bar. C’è chi vuole che la cosa non sia casuale: Napolitano vorrebbe far finire la legislatura anzitempo, in modo che l’elezione del suo successore sia fatta da un altro Parlamento. È improbabile, fino ad ora ha sempre mostrato di volersi tenere i governi che il Parlamento gli ha espresso, ma è possibile. Allora, però, si rafforza l’argomento principale di chi vede troppo lungo il mandato presidenziale. Sette anni sono troppi, e l’attitudine dei capi dello Stato dopo Einaudi (una presidenza temperata da De Gasperi) lo dimostra: Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Cossiga, Scalfaro. Pertini e Ciampi hanno mostrato più equilibrio, ma non senza smagliature. Cinque anni sarebbe il periodo massimo di tolleranza del potere assoluto, come è stato riconosciuto in Francia, dopo le troppo lunghe esperienze dei successori di De Gaulle – o quattro, come negli Usa, se non si vuole fa combaciare la presidenza col mandato parlamentare.
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