L’Eletto di Internet sconfitto dal passaparola? Per Barack Obama la caduta sembra libera, nei commenti della rete: è Internet inaffidabile, un vento capriccioso? è Obama un falso leader? In realtà, Obama è un vero leader – e Internet non è una brezza o un brusio, se ha deciso un’elezione presidenziale. È troppo leader per il sistema americano, il presidente dell’America, che a torto viene ritenuto un Cesare o un Augusto, seppure soggetto al voto. Il presidente americano è, per stare al paragone romano, un console, essendo il suo operato sottoposto al voto ogni pochi mesi, e il mandato soggetto a forte continua concorrenza. Obama non sembra averne tenuto conto.
Ma, poi, Roma c’entra poco o nulla: il sistema politico americano è unico, fondandosi sui poteri intermedi. Territoriali o settoriali. Che sono gruppi di interesse, anche quelli territoriali. Il processo politico americano è mediato a tutti i livelli dai gruppi organizzati, si tratti della società della lontra, o del fondamentalismo cristiano. Oltre ai gruppi d’interesse classici della ragione critica, liberale o marxista: i monopoli, le lobbies, i sindacati, la finanza, l’immobiliare. Obama ha inteso il suo mandato come un mandato a solvere, a decidere, a governare per il meglio, senza sottostare agli interessi particolari, da capo piuttosto che da mediatore, e ora è espulso dal sistema, che ha smaltito la sorpresa elettorale. Obama, a giudizio anche dei suoi critici, non aveva scelta, dovendo gestire la peggiore crisi economica e politica (l’11 settembre) della storia degli Usa. Doveva solo smarcarsi dal condizionamento delle banche, delle assicurazioni, della spesa pubblica, dei sindacati, del Pentagono, di Israele, del fondamentalismo cristiano ereditato da Bush. Ma ora che lo ha fatto si ritrova solo.
È stato il destino in America del populismo, che molte volte ha tentato di liberare la politica dal condizionamento dei poteri intermedi, e sempre ha fallito. Con l’eccezione di Andrew Jackson, i populisti del resto mai erano riusciti a vincere le presidenziali, prima di Obama, lo spento James Weaver e il tre volte candidato brillantissimo William Jennings Bryan – tutti ammazza banchieri (Jackson anche ammazza indiani). Obama non è un populista: non di formazione, venendo dalla base del partito Democratico, né nelle scelte di governo, nette ma non demagogiche. L’opinione comune anzi tende a dirlo vittima del populismo montante, specie dei gruppi di destra. Ha tuttavia infranto il sistema politico americano della rappresentanza degli interessi, che ora tende a ricostituirsi a suo danno.
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