Giuseppe Leuzzi
La recensione più vera di questo libro di cose viste vittorughiane è nella foto con cui il “Corriere della sera” ne ha illustrato domenica l’anticipazione da parte di Paolo Franchi. Vi si vedono Mario Pirani, Sandro Curzi e Italo Calvino nei loro trent’anni, splendere a un qualche convegno sovietico – con le solite tre compagne multirazziali. Quella foto è una storia, e l’interpretazione della storia stessa: come si poteva essere comunisti negli anni Cinquanta, senza nuvole né tanfi di zolfo, in allegria, con fiducia, leali e onesti. Che insomma la storia non era segnata. Pirani non privilegia la storia in questa narrazione, non ne fa la critica, ma mantiene qua e là, retrospettivamente, uno sguardo inorridito: “come ha potuto succedere”. Il suo stesso titolo riecheggia la condanna di Furet, “Il passato di un’illusione”. Ma c’era un tempo anche per quello, come c’è nella sua sorridente prosa per i tanti eventi che hanno riempito la sua vita privata e professionale. La giovinezza spensierata, le peripezie della guerra, l’amore per Barbara Spinelli. E il lavoro in Nord Africa come ambasciatore di Mattei, specie per e attorno agli algerini alla fine della guerra d’indipendenza, la direzione del “Globo”, la direzione dell’“Europeo”, nella tana, questa sì sulfurea, della Rizzoli di Tassan Din, l’incontro con Scalfari e la fondazione di “Repubblica”.
Alle soglie di “Repubblica” Pirani si ferma. Mentre poteva essere il capitolo più interessante, cioè attuale: cosa doveva essere e cosa è il giornale. E con esso questo ventennio sconclusionato di pretesa Seconda Repubblica, che è un argomento su cui invece più volte ritorna con fastidio, e di cui il giornale è protagonista. È stata, ed è, scena di troppe indecenze, questa “rivoluzione all’italiana”, il riassetto politico propiziato e cavalcato da Mani Pulite. Pirani se ne dice qua e là è indignato, pur nella misura che è la sua cifra, ma si tratta di un fenomeno ormai durevole, i cui presupposti andranno rivisti.
Ha indole serena, Pirani. Sempre garbato, quale i lettori di “Repubblica” lo apprezzano. O l’equilibrio coltiva, per sua intima saggezza. E tale è la sua prosa. Che apparentemente evita la storia canonica, lasciandola sullo sfondo: lui preferisce soffermarsi sui particolari minimi, le cosiddette scene di vita vissuta. È l’esito dell’ironia, seppure lieve, dello sguardo sempre curioso, e quindi partecipe, ma distaccato. Ma ne ricava una diversa forma simpaticamente aneddotica, dando spessore a persone e cose di rilievo trascurate, le tante donne di Altiero Spinelli, la sua famiglia cioè, e il lavoro dentro l’Eni, o a particolari che potrebbero sembrare irrilevanti, una scelta professionale, la costituzione di un gruppo redazionale. Da giornalista che non ambisce ad altro titolo. E tuttavia con forte piglio narrativo.
Mario Pirani, Poteva andare peggio. Mezzo secolo di ragionevoli illusioni, Mondadori, pp. 430, € 20
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