Per un navigatore è una sorpresa, non se ne vedono più. Non così concentrate. Non al vertice della più grande banca italo-germanica: si rovescia la civiltà dell’immagine e la storia, e questa vaga cultura pop metropolitana, di superficie, urbana, levigata, indistinta, che fa il millennio. Facce un po' così, verrebbe dire, alla Paolo Conte, se fossero simpatiche. Sono le facce, una ventina, del consiglio d’amministrazione Unicredit che tanto sconquasso hanno provocato. Tutte odorano, anche se non è possibile, di culatello, baccalà, weisswürstel, cibi robusti, e dell’umidità della bassa, delle lagune, dei boschi alpini. Anche le biografie, che la fotina aziona, fanno impressione: sembra che queste persone, pure in età, non siano mai uscite dal paese, anche solo in gita, da Treviso, per dire, a Malo. Il trionfo della provincia - ecco cos'era la garnde multinazionale, un accozzaglia di paesoni.
Tra essi ce ne sono tre o quattro che hanno una personalità e uno status ben metropolitani: Manfred Bischoff, della Daimler, l’ex ministro delle Finanze tedesco e consulente del Vaticano Theo Waigel, lo stesso presidente Rampl. Ma non mutano l’impressone generale di questa che pure dovrebbe essere la prima multinazionale bancaria, col 60 per cento del capitale collocato all’estero, una cosa da fantascienza. Perfino il rappresentante, peraltro italianissimo, di Allianz riporta al bar della piazza. Un po’ è l’effetto delle fototessere, che tutto riducono alla faccia. Ma, quando Unicredit sarà dissolta, e il lutto delle perdite elaborato, bisognerà rifare la storia di chi sta facendo la storia in Italia. Si dichiari pure futurista come è ora la moda.
mercoledì 22 settembre 2010
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