"Nero petrolio”, un documentario di Rai Uno, ripropone cinquant’anni di oscuri e feroci complotti per l’oro nero. Da Matteotti a Pasolini, due delitti epocali – una buona storia ha bisogno di punti di riferimento solidi. Giacomo Matteotti aveva scoperto la vendita truffaldina dei diritti di ricerca del petrolio italiano a una Sinclair Oil americana, e per questo Mussolini ne ordinò l’assassinio. Lo spiega “con lucidità”, dice il “Corriere della sera”, lo storico Mauro Canali. Mentre un poeta, Gianni D’Elia, e una signora Ruffini, criminologa, si dicono certi che Pasolini fu ucciso per il romanzo “Petrolio”. Per “il famoso appunto 21 (Lampi sull’Eni)”, dice sempre il “Corriere”, che sarebbe scomparso – di cui un altro eminente filologo, Marcello Dell’Utri ha annunciato tempo fa il ritrovamento, ma poi non ce lo ha fatto leggere (in realtà l’appunto è travasato nel romanzo pubblicato, un poco pasoliniano uso della cronaca, nella forma di un pettegolezzo raccolto nel salotto, presumibilmente, della Astaldi). Pasolini sarebbe stato ucciso su ordine di Eugenio Cefis, successore di Mattei all’Eni.
Canali ci ha abituato alle sorprese, scavando negli archivi, dei comunisti che erano fascisti, e viceversa, e degli italiani che erano tutti spie. Scavando negli archivi dell’Ovra, che per statuto è bugiarda, come ogni polizia segreta. Ma neppure l’Ovra sarebbe riuscita a farci credere che Cefis abbia ordinato a Pelosi di assassinare Pasolini – che non scrisse la parte petrolifera di “Petrolio” perché non riuscì a scriverla, ne aveva avuto il tempo. È pure vero che la realtà di Cefis, e del fascismo, è molto più romanzesca di un assassinio. Non è complottarda, e anzi è bene in vista, questo è il punto. Ma se non c’è complotto non c’è storia, non da ora in Italia, dai tempi di Catilina.
Questo forse spiega la mancata unità, o maturazione del paese, il mancato senso della nazione così forte altrove, in Europa perfino nelle nazioni etnica mente divise, Gran Bretagna e Spagna, oltre che in Francia o nella giovane Germania: la mancanza del senso della storia. Indotta dalla povertà della storia nazionale. Tanto piena è di buchi: trascuratezze, omissioni, ipocrisie, anche contro l’evidenza. L’uso della storia è documentato da Gordon Wood in crescita esponenziale nel dopoguerra, insieme con la crescita degli studi accademici e delle cattedre. Wood l’ha calcolato per gli Usa, ma l’Italia non sarà molto indietro. Cosa manca allora? Manca un disciplinare, come per il vino, e ogni prodotto di largo consumo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento