Una storia d’amore che si rincorre. Gli “anni veloci” sono quelli della prima giovinezza del protagonista che vince i 100 piani, avvicinandosi ai 10 netti. E anche - con qualche confusione di riferimenti, tra l’Olimpiade di Monaco, il rapimento di Moro e l’Olimpiade di Los Angeles (è l’effetto degli interventi redazionali?) - degli anni post-Sessantotto. Cullato dai versi e le musiche di Battisti e Rino Gaetano, che è un amico e quasi un fratello. Ma non ha tempo per il suo amore. Con echi d’autore, il quadrilatero goethiano di “Le affinità elettive”, le sicule “geometrie di sguardi”, il kafkiano lasciarsi fare negli eventi. E con una baldanzosa, benvenuta infine, padronanza dei proprio luoghi, le luci, i sapori, inconsueta nella cerebrale narrativa italiana. Sorprendente per un calabrese di Crotone.
Abate ristabilisce qui, con la stessa scioltezza con cui il suo protagonista corre i 100, cos’è Meridione. In letteratura è solitamente unidimensionale: dolorista, cupo per quanto impegnato, senza gioia nella narrazione. Senza donne, sesso, passioni, risate, ironia. Senza anche la violenza dei poveri, di beni e di spirito, l’animalismo, la superstizione, l’irresponsabilità. Abate ristabilisce allegro cosa è più Meridione: la filosofia, l’erotismo, la golosità.
Carmine Abate, Gli anni veloci, Mondadori, pp. 243, € 9
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