Fa impressione vedere tanti dossier, tutti precisi, tutti col lancio concordato da sapiente regia, su fatti non illegali né di corruzione, dove anzi l'illegalità è talvolta degli stessi dossier, acclarata cioè. Come le case di Berlusconi alle Bahamas, o a Antigua, o quella venduta da Sepe a Lunardi, il riciclaggio dello Ior, il minaccioso attacco napoletano al "Giornale", le intercettazioni di "Panorama". Per non dire dello screditatissimo Ciancimino e del Centokiller teologo.
Il tipico dossier è messo insieme sempre sotto l’ombrello di un giudice – ma non necessariamente a sua opera. Che lo usa per farsi una carriera politica alla pensione, ma non necessariamente. Più spesso nelle cronache lo ha usato l’ufficiale di polizia giudiziaria, per farsi gratis la testimone d’accusa vendicativa, o la cronista giudiziaria. I giudici dei dossier agiscono normalmente di concerto e sotto un ombrello politico, in passato il tiro a quattro Milano-Palermo-Napoli-Bari, dalemiano, ora quello Firenze-Perugia-Roma-Napoli, finiano. Collazionato un certo numero di documenti, col suffragio di qualche perizia, ultimamente sempre più della Banca d’Italia, si cerca un’anticipazione, presso l’Ansa o uno dei grandi giornali. Dopodiché, prima ancora che le “carte” siano rese pubbliche, c’è un giro di dichiarazioni che occupano obbligatoriamente (par condicio) i tg: ogni partito rappresentato in Parlamento ha diritto a dire la sua. Comincia quindi lo stillicidio della carte e dei pareri: documenti, pizzini, copie certe, copie incerte, interpretazioni, “letture”, precedenti storici. Sempre verso fonte controllata o controllabile, presso l’Ansa o i grandi giornali. Finché, diventata materia dei talk show, dei libri, delle presentazioni dei libri, degli echi delle presentazioni, la “cosa” non va avanti da sola, il tempo di un’ubriacatura. Questa scansione, insieme flessibile e rigida, ripetitiva, implica che al dossieraggio lavorano molte persone e organizzazioni fuori dele istituzioni, come si suole dire, esterne all’apparato repressivo – che si deve attenere a diverse procedure.
Il dossier è tipicamente lavoro di destra. Il genere fu sviluppato nel secondo Ottocento francese, e nel primo Novecento un po’ ovunque in Europa a opera dei regimi dittatoriali o autoritari. Riguardava la vita privata e gli affari. Orwell lo immortalò nel primo dopoguerra nella versione Terza Internazionale, o staliniana, a fondo e fine politico, e tale è rimasto. I tentativi di dossier della destra, sui giornali di Berlusconi per esempio, sono tanto affannati quanto pasticciati – inoltre, sono sempre "seguiti" dallo stesso Grande Fratello, si vede nel caso di “Panorama”, mentre dell’inverso non c’è ancora un caso.
Resta da accertare il loro peso elettorale. Non per avere confezionato e confezionare dossier superbi la sinistra si è ripresa dopo l’autogolpe del 1992. È però vero che i dossier annullano il voto, lo rendono inoperante. Che è probabilmente l’esito voluto dai veri manovratori delle “carte”: il governo attraverso la crisi, cioè la crisi della funzione di governo. Quando vinse Prodi l’ultima volta, nel 2006, subito partirono (sempre da “sinistra”) dossier contro la sua persona – di cui quello sulla loggia massonica a San Marino, che pure era ridicolo, fece molte prime pagine.
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