"Se sento che si tagliano il tempo pieno e la mensa mi vengono i brividi”, dice Mario Lodi, “il maestro”, al “Venerdì” di “Repubblica”: “Mangiare insieme è anche questo una scuola di democrazia". Ma quando il tempo pieno fu istituito, nel 1974, con la mensa scolastica, questa divenne praticamente l’unico argomento d’interesse dei genitori, e quindi dei consigli d’istituto. E lo è tuttora: da insegnanti, da genitori e da nonni non si ricorda altro di questa rivoluzionaria istituzione, che avrebbe dovuto legare alle famiglia, farla anzi “dirigere” alle famiglie, che le lamentele sul cibo: “Come la mamma, mai!”, detto, più spesso, dalle mamme che non cucinano. E i figli all’unisono: qualsiasi maestra o insegnante ha penato e pena sul rifiuto del cibo a mensa.
Le istituzioni, purtroppo, non riformano la società. Cioè sì, se sono autoritarie, al modo come un Mussolini poteva pretendere perfino che gli italiani fossero bellicosi e in guerra con il mondo. Ma non se sono democratiche. Le istituzioni possono solo accompagnare la società, migliorarla, ma lievemente. I consigli, che dovevano portare le famiglie nelle “loro” scuole, è tanto se hanno capito – cominciano a capire – come sono fatte e ragionano le famiglie.
Anche adesso, dopo i tagli al tempo pieno (che è rimasto, purtroppo - un giorno bisognerà che anche i bambini possano parlare, o comunque ridiscutere l’opportunità di tenere i bambini fermi otto ore: i genitori devono essere liberi di andare a lavorare, ma i bambini possono fare altro che la scuola), e dopo le proteste, le manifestazioni, i tafferugli politici, tutte le attenzioni convergono sui sughi e sulla qualità della pasta. Il pasto a scuola è un fatto complesso, per i numeri intanto (il Comune di Roma fa 180 pasti giornalieri...), per le diete, per i regimi speciali, ma su questo nessuno si esercita - la complessità non è democratica?
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