Per la prima retrospettiva del Bronzino in cinque secoli, a palazzo Strozzi a Firenze, torna in circolazione questo succulento studio dell’attività letteraria del pittore. Gli artisti fiorentini, notava Berenson, erano sempre anche qualcos’altro: letterati, scienziati, architetti. Il Bronzino era poeta. Di rime burlesche, perlopiù, e serie. Più costruito che spontaneo, come sono i suoi quadri, anche se di natura inventivo e non manierista. Uomo di molte letture e forte memoria. Studiato poco nei secoli, ma abbastanza per consentire al D’Ancona di scoprire, nel 1878, che ogni terzina del componimento “Serenata” (che non è parte di questa piccola raccolta) è un centone di capoversi di rispetti popolari.
Questi “Salterelli”, per la prima volta in edizione critica, “sono undici sonetti caudati, in gergo jonadattico, composti fra l’ottobre del 1560 e il gennaio del 161 in difesa di Annibal Caro contro Ludovico Castelvetro”, in difesa cioè di una canzone del Caro, “Venite all’ombra dei gran gigli d’oro”, “che nella seconda metà del Cinquecento infiammò gli animi dei maggiori letterati italiani”. I “Salterelli” “godettero di una particolare fortuna sin dalla loro composizione”, e furono adottati come testo di lingua dall’Accademia della Crusca. Sostennero col Caro l’opportunità dell’uso del toscano vivo a preferenza di quello petrarchesco.
Specialmente gustoso il capitolo sull’Accademia degli Humidi, poi Fiorentina, quando Cosimo I, per omologarla, ne annacquò la natura “popolana” con l’immissione di ecclesiastici e cortigiani: i burleschi, un po’ repubblicani, soci fondatori vennero espulsi - si rifaranno creando nel 1581, a quarant’anni dall’occupazione ducale degli Humidi, la serissima Crusca, o Accademia dei Crusconi. È, in breve, un romanzo. Pieno di figure: Giomo, pollaiolo, il merciaio Miglior Visino, vivandiere apprezzato del gruppo, Niccolò Martelli, detto il Gelato, un mercante, con tanti letterati di nome e di professione, quali Anton Franceso Grazzini, noto come il Lasca, o “il giovane e bel poetino” Gismondo Martelli, amante del Lasca. E Giovan Battista Gelli, filosofo (“I capricci del bottaio”, “La Circe”), calzolaio in piazza della Signoria. Il quale ebbe l’idea di far derivare il toscano dall’aramaico. E trovò un accademico, Pier Francesco Giambullari, storico peraltro insigne, autore della prima storia dell’Europa, che, da filologo esperto di ebraico e caldeo, gliene scoprì le radici, in un trattato doverosamente intitolato “Gello” - la filologia , in fondo, è divertimento.
Agnolo di Cosimo (il Bronzino), I salterelli dell’abbrucia, a cura di Carla Rossi Bellotto, Salerno, pp.140, € 14
giovedì 7 ottobre 2010
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