Di Woodcock non si può dire: ha preso esempio da De Magistris. I due bei giovani in un colpo, e divertendosi un sacco alle spalle di personaggi illustri, Woodcock di modelle dall’ottimo profilo e di Vittorio Emanuele, De Magistris di Romano Prodi, hanno lasciato la provincia per tornare alla diletta Napoli. I giudici “figli di giudici, nipoti di giudici”, meritano questo e altro.
Il loro più illustre conterraneo, il presidente della Repubblica Napolitano, li guarda e paterno tace. Non solo nel Consiglio superiore della magistratura che presiede, nemmeno in privato, nemmeno con un buffetto, li riprende per le loro intemperanze. Avviare inchieste senza alcuna notitia criminis, neanche la solita lettera anonima che il giudice scrive a se stesso, intercettare telefoni a piacere, anche dei giornali, diffondere atti istruttori liberamente, a amici e parenti.
Solerti i carabinieri accorrono, al cenno di napoletanissimi comandanti, e fanno irruzione in massa nei giornali. Luoghi come si sa dove si annidano i peggiori malfattori. Non a Reggio Calabria, davanti alla Procura della Repubblica, per esempio.
Molto napoletana anche la precisazione, ufficiosa ma autorevole, agli inviati dei Grandi Gionali che abboccano, che non i telefoni del “Giornale” erano e sono intercettati bensì quello del signor Arpisella. Che invece non c’era nessun motivo d’intercettare, nemmeno di opportunità – sentendolo parlare con un dirigente di Confindustria si capisce che non è molto in stima. Gli inviati naturalmente non s’interrogano nemmeno perché Napoli si arroga il diritto d’indagare su fatti che avvengono a Milano. O al più, avendo la Confindustria sede a Roma, nella capitale. Questa competenza universale della nobilissima città è ormai “acquisita”, benché illegale. Su Calciopoli per esempio, che si svolgeva (ma la giustizia napoletana ha problemi a provarlo) tra Torino, Milano, Firenze e Roma. Nel tempo libero dall’ascolto diretto delle telefonate di Berlusconi – che però è inopportuno dichiarare: quando è stato fatto (quando parlava di donne con Saccà) nessun giudice giudicante se l’è sentita di ascoltarle, si sa che i delinquenti temono la prigione.
Il concetto di legalità esula con ogni evidenza dalla giustizia napoletana. Del resto, come censurare l’universalità delle competenze? La questione morale è una e indivisibile. È per questo probabilmente che a Napoli la giustizia non ha poi la forza d’indagare su chi brucia i cassonetti e i camion della spazzatura, a diecine ogni notte, e impedisce la raccolta dei rifiuti. È come quel giudice corrotto spagnolo, che perseguiva i crimini dell’umanità e non aveva tempo per le sue pulsioni.
sabato 9 ottobre 2010
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