Senza religiosità nulla societas. Lo dirà anche il laicissimo Quinet, e a suo modo Robespierre. Per prima lo dice qui da Neûchatel Isabelle de Charrière, beccando Diderot. All’interlocutore ateo, che si stupisce “come una donna con un po’ d’istruzione e d’esperienza di mondo osi ancora parlare dei dieci comandamenti”, arguendo che “senza la religione la morale non verrebbe meno”, Isabelle, lo spirito più libero del Settecento, risponde: “Per verificarlo ci vorrebbero tre o quattro generazioni e un intero popolo di atei. Diderot, se è un gentiluomo, lo deve forse a una religione che, in buona fede, lui ha sostenuto fosse falsa”.
“Belle” Van Zuylen, rossa olandese sposata de Charrière a Neûchatel, fu corrispondente e amica di Constant d’Hermenches e, dopo ventisette anni, del di lui nipote Benjamin Constant, senza castrarli. “Si parla tanto delle illusioni dell’amor proprio”, diceva, “ma è ben raro, quando si è amati, che si sappia quanto”. Forse per questo Madame de Staël ha eletto Isabelle a modello di “Corinne”, il romanzo dell’Italia, quando ancora se ne pensava bene. Isabelle che a lungo ha inseguito l’opera italiana, alla Mozart, Paisiello, Cimarosa, da ultimo perfezionandosi con Nicola Zingarelli, e sarebbe stata la prima donna operista, anzi l’unica, ma sempre fu respinta dai teatri. Madame de Staël lamentava con “Belle” che i suoi romanzi non avessero finale. Ma c’è qui anche il romanzo della non necessità per una donna di sposarsi. E per un uomo.
Isabelle de Charrière, Lettere da Losanna e altri romanzi epistolari
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