Può una donna senza età, di almeno novant’anni, malata terminale di cancro, progettare ed eseguire assassinii? In patria e nella remota Istanbul, una delle tappe della sua infinita diaspora di greca in terra turca? Màrkaris si supera. Sempre nei suoi gialli evita il sesso, come tutti i giallisti in età, dal capostipite Vazquez Montalbàn a Camilleri, riducendolo a una nuisance, un vincolo necessario. È così che il cosiddetto giallo mediterraneo si caratterizza per evitare le dark ladies, o bionde, che sono normalmente il perno dei gialli: perché è opera di autori in età. Qui Màrkaris va oltre, impiantando il romanzo su figure tutte in vario modo, non solo la protagonista, repellenti. E commette sempre l'errore di far prendere al suo commissario Chàritos tre e quattro caffè di seguito, che lo farebbero scoppiare - a meno che non siano ciofeghe (è probabile: la fama del caffè è usurpata, in Grecia è nescafè, in Turchia per molti anni non si trovava). Qui fa anche di peggio: fa mangiare di buon gusto alle vittime delle pitte, torte, al parathion, che invece è disgustoso. Ma regge a ogni pagina. Grazie al ritmo, che fa trascurare i suoi vecchi: il dosaggio degli "a parte", familiari eccetera, è magistrale, l'attenzione sempre stimolata. E al setting: una Istanbul mirabolante, di monumenti, luci, odori, sapori, di estrema, sdilinquita gentilezza. Con un rovesciamento doppio, giacché nel subconscio del lettore turchi e greci sono pur sempre nemici da almeno sei secoli. Specie i romei, come ancora si chiamano i pochi greci residuati delle tante persecuzioni turche nell’ex impero bizantino (romei cioè romani, eredi dell’impero, malgrado lo scisma del Filioque, che non vuole ricomporsi). Ma, poi, non sono tanto diversi.
Petros Màrkaris, La balia, Bompiani, pp. 290, € 9.50
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