Formidabile omaggio allo scrittore di San Luca da parte del noto mariologo, suo concittadino. Che ne ha fatto accurata e vasta lettura, anche sui tantissimi inediti che nessuno cura e alcuni archivi (Bompiani, privati). E ne sistematizza la critica su ben sette piani di lettura: lirico-mistica, antitetica, sociopolitica, umanistico-morale, diacronica, religiosa, strutturalistica - la narratologia del racconto “Madre di paese” è un racconto a sé. Ne delinea la nota dualità, di uomo mediterraneo e scrittore europeo. E ne arricchisce doppiamente la personalità nota. Come concittadino, per i rapporti in famiglia e col paese d’origine, attraverso ricordi personali, un incontro molto vivace con Mario La Cava, lettere e altri testi inediti, e un insight speciale sui rapporti interni alla famiglia, con la madre soprattutto e col padre. Come studioso di Maria, padre De Fiores ha un occhio particolarissimo verso il rapporto dello scrittore con la madre, e il suo speciale femminismo. In una con l’etnicismo per lui indissolubile: “La donna è il personaggio più importante e più autentico della Calabria”. E ne fa affiorare la costante intima religiosità, legata alla cristianità dell’Europa, nel senso crociano del non possiamo non dirci cristiani, e più nel senso mitico-mistico della vita e del Cristo, seppure non clericale e anzi anticlericale.
Lo studio ha anche il merito di far emergere, in più punti, un problema specifico di Corrado Alvaro, quello biografico – gli aventi diritto sono stati restii a mettere a disposizione degli studiosi le carte personali dello scrittore. Un problema dovuto probabilmente ai rapporti non buoni, dopo l’adolescenza, col padre. E a una certa libertà di rapporti fuori della famiglia instaurata negli ultimi anni di vita, quelli della malattia che lo condusse a morte a sessant’anni – se non in conseguenza della malattia. Ma un problema certo di Alvaro è la Calabria. Più padre che madre forse – alla madre vera restò sempre in qualche modo vicino. Il problema è il rifiuto. Fino a morte avvenuta, del padre vero. Dopodiché le origini riprendono il loro ruolo fertile, di scoperte e formazione. Tanto più per la loro intima diversità, dalla cultura italiana a europea, urbana, cosmopolita, in cui Alvaro si era immerso. Il rifiuto è anche un dato dell’epoca: l’emigrazione intellettuale, come la chiamava Corrado (“mio padre ha inventato l’emigrazione intellettuale”, del figli) era una cesura. Raramente l’emigrato tornava. Quasi mai più che le poche ore di un funerale, senza peraltro mai “vedere” nessuno, a casa scrivendo, alla madre inferma o alla sorella che l’accudiva, rare svogliate lettere. Il ritorno è recente, degli ultimi cinquanta anni – reciproco: compresa cioè la “scoperta” di Alvaro da parte di San Luca (che ora sola, praticamente, ne coltiva la memoria).
De Fiores ha in più il coraggio (è il privilegio della tonaca?) di ricordare, una rarità nella pubblicistica, la pervicacia del Pci di Togliatti nell’acculare Alvaro al fascismo, in vita e in morte, con una strana cadenza biennale: Giacomo Debenedetti (1953), Salinari (1955), Angioletti (1957) e Trombatore (1959) – o si era compagni di strada o si era fascisti. Alvaro soffrì molto l’accusa di viltà mossagli da Debenedetti. Tra l’altro per “L’uomo è forte”, che è invece il romanzo dell’orrore del totalitarismo – era Debenedetti cosi filosovietico?
Stefano De Fiores, Itinerario culturale di Corrado Alvaro, Rubbettino, pp. 204, € 20
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