Un giudice che condanna un senatore per mafia, non in concorso esterno, proprio come mafioso integrale, si suppone che sia certo. Non che ci impieghi centocinquanta giornate e 641 pagine, “Guerra e pace”, per motivare la sua condanna, quante ne ha richieste il dottor Dell’Acqua. E che motivazione: “proteggere” Berlusconi a Milano, tramite la mafia… E chi minacciava Berlusconi? Trentacinque anni fa. Un giudice che consente ai giornali d’intitolare: “Berlusconi sfruttato per vent’anni da Dell’Utri doppiogiochista”. Che sembra troppo, anche se in armonia col sentire siculo, che Palermo domina il mondo. Un’altra verità ci dev’essere, che il giudice per prudenza avrà tenuto nascosta.
Anti.it, l’ occhio della verità, la sa tutta e la racconterà. Ma per il necessario riserbo la presenterà in forma di apologo. Il dottor Dell’Acqua formalmente dà per vero ciò che racconta un pentito, Francesco Di Carlo, uno che era in carcere in Inghilterra e per uscirne pensò di diventare pentito in Italia. Prima dicendo la verità su uno spinoso caso italo-inglese, quello del banchiere Calvi. Poi, non avendone ottenuto beneficio, dicendo la verità su Berlusconi. In un primo momento rivelò che Berlusconi trafficava cocaina, era al centro del traffico con i narcos colombiani. Infine scoprì, lui non siciliano, che la mafia rende di più, essendo cosa siciliana. Ma Di Carlo è l’uomo dello schermo del dottor Dell’Acqua - allo stesso modo lo stesso giudice ha utilizzato Spatuzza, in una tstimonianza spettacolare in giro per l'Italia, con corteo di televisioni e giornalisti, e ora lo dice inattendibile (Spatuzza cliente del caffé Doney a Roma effettivamente è poco credibile: i camerieri avrebbero subito chiamato il 112). La verità è questa.
C’è una faglia nel discorso di Ciancimino figlio – che non si può chiamare collaborazione, lui è uno pulito, come anti.it e forse di più guardiano della verità. O si può pensare che una cosa non gli sia riuscita, anche se gestisce i giudici di mezza Sicilia: trovare un legame di sangue, se non di vera e propria associazione mafiosa, tra Dell’Utri e suo padre, il sindaco mafioso Ciancimino vero, che facedo costruire Palermo, con la mafia, è diventato miliardario, in euro. Più di Dell'Utri. Ciancimino figlio non ci ha pensato? Ci pensi, si divertirà altri vent’anni. Una cuginanza non è difficile da trovare a Palermo. Perché, sennò, che ci faceva Dell’Utri a Milano?
Dell’Utri è andato a Milano per agganciare Berlusconi. I due giovanotti erano delle perfette nullità nel 1970, ma la mafia aveva bisogno di occupare l’etere, e formare un proprio picciotto in doppiopetto per occupare la presidenza del consiglio, i media, l’editoria, le assicurazioni, e insomma allargarsi. L’etere libero ancora non c’era nel 1970, ma la mafia previdente occupava le posizioni. Dunque, disse Dell’Utri agli altri picciotti a Palermo e allo zio o cugino Ciancimino: “Vado a Milano, dove c’è un fesso…”. Poi, giacché si è trovato lì, con la mano sinistra, perché i siciliani sono un po’ come Dio, annoiati, ha portato il mercato pubblicitario da mille a dodicimila miliardi, l’anno. Poi, stanco della pubblicità, ha creato il maggiore partito politico dell’Italia. Nel quale la mafia non è voluta entrare perché è racée, ha orrore dei partiti di plastica…
Per ricapitolare. Dell’Utri è il consigliori del Ciancimino vero, il padre, di cui gestisce l’inafferrabile patrimonio tra i Caraibi e l’Estremo Oriente, con le mafie locali. Un lontano cugino. Spedito a controllare Milano con la corda corta della cocaina, di cui è 9606
impunito sniffatore. Ciancimino figlio non lo dice, non ancora, perché spera di recuperare il patrimonio, ma lo sa – come pure i giudici.
La prova maestra che Dell’Utri è il capo di Cosa Nostra, seppure subordinatamente a Ciancimino prima e a Provenzano e Ciancimino figlio poi, è però un’altra: che non va a donne. Un uomo serio non va a donne. Ma di questo non si può appunto parlare, perché… Insomma, e se Dell’Utri è gay? Ora, tutto si può dire della mafia, ma non che è politicamente scorretta: di queste cose non parla.
E così, l'avrete capito da soli, l’Assise d’Appello di Palermo ha fatto un’ottima sentenza che la Cassazione dovrà cassare.
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