Un altro, un politico qualsiasi, avrebbe steso lui la rete che il non eccelso Fini sta stendendo. Con una semplice mossa, un programma di governo per la seconda metà della legislatura che attraesse l’opposizione, l’Udc e il Pd: fuori la giustizia, introvabile, dentro il federalismo, la legge elettorale,la riforma del fisco e del costo del lavoro. Che da sola, quest’ultima, equivarrebbe a una riforma da tutti benedetta del mercato del lavoro. Berlusconi no. Non per pregiudizio ideologico, che non ne ha, benché sbeffeggi i “comunisti”, ma per la sua passione plebiscitaria. Che è l’unica forma della politica che gli piace: non il governo, ma il gradimento, la popolarità, e il voto. Che però non è detto che lo condanni.
Fini d’altra parte non vuole Berlusconi, e Berlusconi non vuole Fini. Non ci può essere un governo Fini-Casini-Berlusconi. Fini s’immagina, e gli vengono suggerite, formula fantasiose, che tutte farebbero a meno dei voti di Berlusconi. Ma sono niente più di fantasie, poiché non hanno i numeri: se anche si mettessero insieme tutti i voti non di Bossi-Berlusconi non è detto che avrebbero la maggioranza alla Camera, per i tanti mal di pancia, e non l’avrebbero comunque al Senato. Senza contare che Di Pietro vede in Fini un concorrente, e sta già lavorando contro di lui – non tutti i giudici sono per Fini.
Un governo di Fini peraltro non può fare niente: non il federalismo, non la legge elettorale, non la riforma del fisco e del costo del lavoro. Nella sua nuova maggioranza ipotizzabile, di centro-sinistra, non c’è concordia su nessuno di questi pun ti. Sarebbe insomma il governo del personaggio, che è il niente personalizzato. L’unico effetto di questa sua avanzata nel vuoto dovrebbe quindi essere di gestire le elezioni, con un governo nominato ma bocciato dal Parlamento.
Le elezioni saranno dunque necessarie. Almeno questo Fini sembra saperlo. Insieme con la nota legge che chi provoca elezioni anticipate le perde. Dunque, sta lavorando alle elezioni senza darlo a vedere. Come fece Scalfaro con Dini, col suo golpe prolungato concluso con le elezioni del 1996. Ma Napolitano non è Scalfaro e non consentirà a Fini di traccheggiare per un anno e mezzo, per capitalizzare la riconosciuta incapacità di Berlusconi di fare l’opposizione.
Si deve votare dunque presto. E l’esito del voto a caldo è incerto: Berlusconi non parte perdente. Fini ha il sostegno dei giudici. Ma in campagna elettorale non possono scovare altre escort, sono solo ottomila voti – ammesso che siano tutti per lui. Ha i grandi giornali e Murdoch. Che però già ne ridono: si sa che gli interessi che fanno i media lavorano contro un “vincente”, qualsiasi esso sia, che non vogliono una leadership politica, un governo. Ha Vendola, ma non avrà il Pd. Che non è più Veltroni, Franceschini, Bindi, e presto non sarà più D’Alema, Bersani, Finocchiaro: i voti, residui, sono dei rottamatori. Mentre avrà ferocemente contro, più che i molli berlusconiani, la Lega. Cioè il Nord, da Trieste, dalla “sua” Trieste, a Cuneo.
Tutto ciò che Fini vuole, consultazioni, verifiche, programmi, magari con la lotta alla droga di rumoriana memoria, è roba che non porta voti e anzi li allontana: il Nord sarà feroce con questo tipo di politica. Mentre le due grandi aree elettorali del Sud, la Campania e la Sicilia, si presentano perdenti per il centro-sinistra di Fini: i guasti di Bassolino e Russo Jervolino sono incolmabili, il milazzismo attorno a Lombardo si è sfarinato prima di decollare.
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