Il leghismo alla Bossi era già tale e quale nel 1949, quando il ragioniere Carlo Magnini di Pavia ne scrisse la summa in una lettera beffarda a “Milano-Sera”, il quotidiano fiancheggiatore del Pci. Répaci se ne assunse la risposta in questi 16 articoli (o almeno, così è da presumere: né l’anno né il giornale sono specificati in questa lacunosa riedizione), che chiama inchiesta sull’antimeridionalismo. Con argomenti, però, che purtroppo avranno confermato il ragioniere nei pregiudizi: nel 1963, quando Répaci raccolse gli articoli in volume, era il libro stesso a uscire su un binario morto, la “questione meridionale” era già più complicata. Ma non manca la zampata. La mezza pagina di Nitti, un meridionale non autoindulgente, che elenca inoppugnabile i vincoli posti dall’unità al Sud, nella prefazione al suo “Nord e Sud” (p. 38). Il ruolo già corruttore della Democrazia Cristiana nel meridione. La storia del Sud in mezza pagina (p.54). Un inserto sulla fiscalità che è una risposta argomentata, seppure fulminante, ai conti ricorrenti di quanto il Nord si sacrifica per il Sud (p.39). La povertà diffusa ancora nel dopoguerra anche a Nord. nell'entroterra della Versilia, o nella Val Malenco, dove gli abitanti vivono in grotte e bambini trasportano lastre pesanti di amianto. Non senza lo scarto beffardo tipico della “calabresità”, direbbe lo tesso Répaci, sulla ristrettezza mentale (“l’avarizia, la meschinità”) della borghesia a cent’anni dall’unità: “Ci sono grandi proprietari da noi che, a quattro anni e più dalla fine della guerra, aspettano ancora dallo stato che gli rimetta i vetri frantumati dai bombardamenti”.
Leonida Répaci, Il Sud su un binario morto, Rubbettino, pp.80, € 6,20
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