mercoledì 3 novembre 2010

Letture - 44

letterautore

Arendt - La Hannah Arendt che rimane fedele a Heidegger – rimane fedele a un uomo sgradevole – non è la filosofa, né la scienziata politica, né l’ebrea emigrata: è la “buona moglie tedesca” di Stendhal. Non c’è altra spiegazione: benché colta e impegnata, e sensibile al corteggiamento, resta fedele al primo amore, e all’amore considerato come una virtù in se stessa, “qualcosa di mistico”, fisso.

Arte - È catturare il reale per mezzo dell’immaginazione – la magia.

Bibbia – È vera. Come discorso di Dio lo è certamente. Non c’è altro Dio, in nessun altro posto o testo della terra, che non sia nemico.

Cabbala – È un esercizio di razionalismo attorno a Dio, che per definizione è ineffabile – dovrebbe esserlo, ma la Bibbia lo vuole un esercizio di verità. È un esercizio povero di razionalismo, professandosi per iniziati in segreto,

Don Giovanni – È l’insoddisfazione che nasce dalla soddisfazione del desiderio, il quetzalcoatl della passione-soddisfazione interrotto a un certo punto. Il desiderio ha una caduta di tensione quando si realizza, l’evento è sempre inferiore all’attesa, e deve essere rianimato. Qua do subentra la stanchezza, ecco don Giovanni. D’altra parte la stanchezza è invitabile: l’evento insoddisfacente rilancia le attese, ma troppi rilanci comportano troppe cadute, alla fine si diventa scontenti e nervosi.

Lettore – È come l’esecutore della musica, l’interprete drammatico.

Pasolini - Un moralista che si trova suo agio, e quasi in un microcosmo perfetto, nel piccolo ambiente letterario – Elsa, Dacia, Alberto, Laura… - che moralista è?
È il tipo italiano, come Montanelli, come Malaparte. Non c’è in loro artificio, cioè l’artificio è il loro istinto. Invidiabili: per l’ego, e per la capacità d’identificazione (finta?) col truppone.

È violentissimo, perfino sfrenato, da “Salò” a “Petrolio”, senza essere realmente critico. Ogni spiegazione è posticcia, uno sticker. Era incapace di sdegno o sfugge per conformismo – al partito, alla mamma, alla liturgia della perversione? L’unica cosa “sua”, di gusto, è la merda – il culo-merda, il bambino-merda – e questa certamente è un’indicazione, ma di che?

È specchio di Proust in molte cose, malgrado le barriere dell’impegno, del populismo, del linguaggio. Per la freddezza comune a entrambi, dietro la coloritura partecipativa della memoria, verso i loro personaggi e le situazioni in cui li collocano. Verso il loro universo reale anche: le corrispondenze, animate da mille preoccupazioni di programma, timori, sentimenti dedicated, hanno un fondo costante d’insensibilità, di astratta ragionevolezza. La buona educazione nell’uno, la furia nell’altro copre un penchant naturale di bontà, o uno d’intransigenza? Di nervosa insofferenza, fino alla cattiveria, e perfino all’oltraggio. Caratteristica la bivalenza nei confronti della madre, naturalmente adorata, che naturalmente tutto sa del loro lato oscuro, naturalmente lo disapprova e naturalmente lo copre. Proust avrebbe potuto (dovuto) comporre l’ambivalenza materna nelle regole sociali, della sua formazione, sua di lei, della cultura del tempo e della mentalità, e invece ne assolutizza la figura, annientandola, riducendola a ombra. Pasolini “fa sua” la madre, la violenta in immagine, senza più: la fragilizza, lei così determinata e amante della vita, l’ammutolisce.
A meno che la madre, nei due casi, non sia stata una piccolo borghese insopportabile, abitudinaria e feroce, verso la quale i figli non possono che avere sensi di colpa. Che di Pasolini hanno ammorbato tutta la vita, fino ai propositi finali di suicidio per vergogna. E di Proust hanno provocato la costante nevrosi, di cui invece non c’è traccia nel fratello e nel padre (non facevano anch’essi le vacanze in Normandia, dalla parte di duchi e ragazze di solida borghesia?): fantasticare guardando da lontano, le bambine degli Champs-Élysées, le ragazze in fiore, o incanaglire l’amore nel sesso “turpe”.

Proust – Malgrado la lunghezza ha creato poco. E tutti personaggi di teatro, compreso il travesti.
Il tempo durata è dettaglismo, cioè lunghezza.
Peccato che non amasse travestirsi: un po’ di gusto sartoriale gli avrebbe consentito migliaia di pagine di riflessi e nuances. Un vestito femminile naturalmente, è cosa complicata: stoffa, taglio colori, ricami cuciture, forme, sensazioni tattili e acustiche e visive.

L’affettazione lo rende incapace di affetti.
Albertine-Alfred mostacciuto e muscoloso è atroce parodia, misogina. Ma generale e forte è la sensazione che i modelli siano migliori dei personaggi, più complessi, più affascinanti, benché del demi-monde. Perché i personaggi sembrano copie stanche: la duchessa di Guermantes e l’originale Laure de Sade biografata dalla Bibesco, per esempio, e così di tutti quelli di cui è stato ricostituito qualche aspetto della biografia reale, la Signora delle violette Jeanne de Tourbay e Méry Laurent, due cortigiane di lusso, per Odette, compreso lo chauffeur. Non ci sono altri esempi di personaggi letterari inferiori ai modelli. Cosa entusiasma in questo riduttivismo proustiano? Lo snobismo. Che è fondamentalmente invidioso, cattivo sotto l’apparente ammirazione e devozione dei potenti.

S’è appropriato della memoria. Perché, gli altri come scrivono?
La durata è dura in Proust perché è ripetizione, un segnare il passo, e non passaggio – attesa, cambiamento, ritorno. Perché non è speranza. La speranza è il tempo. Senza la speranza non c’è tempo, né aria per respirare. Non c’è in realtà durata, se non er indebita appropriazione della filosofia - Bergson la definisce in termini del tutto diversi dalla stanca memoria di Proust.
La durata, anzi la dura durata, è evidentemente un piacere – l’attesa dell’atto meglio dell’atto (anche se il bricconcello pompava golosamente). Non è volgare rilevarlo, non più volgare della pratica. Questo può spiegare il dilagante proustismo, per le-i tante-i Bovary che s’immaginano la loro vita. La durata come estensione del presente (v. l’attualizzazione del divenire di Banfi), che è ovviamente il fine della memoria. Insistita perciò e insistente, e per questo noiosa. Ma è qui il suo fascino: la prospettazione o promessa di un’eterna giovinezza, di un perpetuarsi delle cose e degli eventi, che supera o rinverdisce un mondo demodé, datatissimo nei modi di essere più che nel tempo.

Ha scritto un romanzo “paralitico” (Ortega y Gasset, “Sul romanzo”).
Il romanzo, che è in fondo un saggio sull’amore in tutte le sue forme, non ha una scena d’amore. Se non quella di “Swann”, rubata, da voyeur furtivo, di Mlle Vinteuil che abbranca l’amica sotto il ritratto del rispettabile padre. Una sola in un romanzo di seimila pagine. L’amore di Proust è molte cose: incanto (immaginazione infantile e adolescenziale), gelosia, violenza, voyeurismo, passione, vizio intellettuale, oltraggio, apatia, odio. La “Ricerca” si può leggere come un repertorio dell’amore, un’enciclopedia alla Montaigne. Ma non c’è l’erotismo. C’è, poco, il sesso. Che è l’unica forma d’amore che Proust ha praticato, l’unica che gli si conosca malgrado le amicizie particolari affettate – l’immenso epistolario non ha una sola lettera d’amore.

Si può decidere di vivere in (narrare) un punto, la vita e la storia (la narrazione) concentrare in un attimo. Ma è un artificio, un terapeuta la direbbe una monomania.

Romanzo – Prospera nelle società ordinate, a struttura gerarchica (ordine) certa. Lo dice E.Cecchi (appunto su Nrf-Proust) e sembra vero: Francia e Inghilterra del Sette-Ottocento, Russia dell’Ottocento, Germania di fine Ottocento, Usa del Novecento. Ma può dardi anche il contrario: Praga (Kafka) e Vienna (Hofmannstahl, Musil, J.Roth….) di fine impero.
Il primo romanzo ha prosperato in età ellenistica- Perché emergeva la potenza romana? O perché si dissolveva il mondo greco classico? Non si può sapere.
E se il romanzo andasse col clima? Dove si legge di più, il genere richiede lunghe letture, e dove di meno.

Stendhal – Ha dato dignità al romanzo d’appendice: vita militare (imprevisto, randagismo), amori (amore fisico: scollature, riccioli, braccia tornite), tradimenti, duelli. Ha fallito dove ha tentato il romanzo contemporaneo: la politica borghese (“L.Leuwen”), la psicologia (“Armance”).

letterautore@antiit.eu

Nessun commento:

Posta un commento