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Autore – Per metà è il suo critico. Che sarebbe J.Roth senza Magris, Canetti senza Calasso, Kafka senza Brod?
Civile, letteratura - Di letteratura civile, di cui sempre si lamenta l’assenza, l’Italia è spoglia giusto negli ultimi trenta-quarant’anni, dalla morte di Pasolini. Si fa ora letteratura per vendere, sui generi che sul mercato tirano, semplificati alla lettura, il giallo, il noir, il fantasy, l’internazionale (il vecchio Salgari), il minimale. Ma prima si può dire che c’è solo letteratura civile. Più vicini a noi, nell’Ottocento: Parini, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Pellico, Carducci, Verga. Nel primo Novecento: Pascoli, D’Annunzio, Croce. Negli anni del fascismo, i più fertili: Montale, Gramsci, Gobetti,Carlo Rosselli, Silone, Alvaro, Lussu, Borgese, Vittorini, ancora Croce. Nel secondo dopoguerra: l’invadente neo realismo, Pasolini, Calvino, ancora Vittorini, perfino Gadda, Brancati, Flaiano, Loganesi, Piovene, Carlo Levi, Arbasino, il Gruppo ’63. Soffoca e muore col Sessantotto: il Sessantotto ha prodotto un alcolismo rapido, presto cirrosi.
Se se ne sente la mancanza ciò è dovuto alla sua ineffettualità. Non c’è un “J’accuse” risolutivo alla Zola in tutta la letteratura italiana, né un Proust che da solo modella la civiltà, se non la storia - impone un mondo, che in sé è crepuscolare, e anzi squallido (nulla a che vedere con i superbi salotti del Settecento, del Seicento). È la società italiana refrattaria? No, è anzi troppo corriva, succube come si vede perfino dei surrogati televisivi. È la letteratura civile insufficiente: bolsa, retorica, lagnosa, anche degli emigrati e dei proscritti – nulla che si avvicini al “Doktor Faustus” o ai saggi di Thomas Mann.
Cultura – Scrive Montale a proposito di Ezra Pound e degli altri americani esiliati volontari in Europa – tra essi Eliot, Hemingway, Henry James, Henry Miller, Gertrude Stein… : “I nostri futuristi erano ignoranti ma saturi di cultura implicita, Pound e compagni erano invece colti, ma ricchi di una cultura da abregé, da corsi accelerati, da scuole serali”.
Implicita cioè “materiale” (Braudel). C’è una cultura per accumulo. Un contadino toscano, Pacciani incluso, ha più modo e riferimenti culturali (echi, tradizioni, vita di relazione) di un bracciante pugliese. Ma gli americani non ne sono sprovvisti, al contrario, hanno fatto e stanno nuovamente facendo grande conto della tradizione.
Ma davvero Montale crede all’americano (Hemngway, Steinbeck, Fulkner) naïf dell’approssimazione vittoriniana (pavesiana?)? Più probabilmente crede alla cultura libresca per accumulo – di cui peraltro gli americani non difettano, Pound è ottimo lettore di Dante, di Properzio, di Cavalcanti. Ma quella è erudizione. La cultura è sempre un movimento in avanti. Non necessariamente da scattista, anche da fondista, anche da marciatore. Non necessariamente movimentista, e con ottimi risultati anche conservatrice. Ma non masturbatoria in surplace.
La cultura è un passo in avanti, inarrestabile. Perché anzitutto è essere vivi. La tradizione e l’erudizione non vivono per se stesse.
D’Annunzio – Cavalli sauri, cani levrieri, seterie, bric-à-brac, profumi: l’armamentario è al gusto del demi-monde parigino, delle lionnes, del Secondo Impero. Un po’ attardato dunque. È per questo che sa di polveroso – che l’avrebbe atterrito. Come la politica, atteggiata: il passaggio a sinistra, l’interventismo, l’aviazione, Fiume.
Diario – Predisposizione di nodi (intrecci) per non uscirne – non uscire dalla rappresentazione di se stessi, che non è propriamente conoscenza. Moltiplica i piani (è il metodo della psicanalisi) per non arrivavate allo scoperto. Che forse non interesserebbe a nessuno: il privato va romanzato, bisogna saperlo raccontare, cioè organizzare.
Don Giovanni – Cacciatore di fiche, lo dice Anaïs Nin. Cacciatore: quindi inesausto, insaziabile.
Da legare alla cultura patriarcale? Maschile, forse, quella che lega amore e morte l’amore si estingue nel momento in cui si realizza, quando è inteso come caccia, si è innamorati fino a quando il desiderio è vivo, cioè non è arrivato a soddisfazione. Per poi rinascere: la cultura del fare.
Con una debolezza, non propriamente patriarcale. È l’insoddisfazione che nasce dalla soddisfazione del desiderio. Un quetzcoatl interrotto. Il desiderio ha una caduta di tensione quando si realizza: l’evento è sempre inferiore alle attese (succedeva anche nei vecchi fidanzamenti, non dongiovanneschi, che duravano dieci anni, si compivano quando non c’era più materia). Le rilancia, certo, ma troppi avanzamenti comportano troppe cadute, si diventa così scontenti e nervosi.
Einaudi – Fra Giulio e il padre Luigi c'è un abisso. E tuttavia Einaudi, per la cultura italiana, è Giulio, che non aveva idee, se non, quasi tutte, sbagliate. Eccetto quella dell’organizzazione imprenditoriale, del mercato. E ancora: vendere idee ala maniera di Giulio Einaudi, in cui cioè non si crede, è puro prossenetismo: è mettere le idee col culo di fuori, per farle un attimo più attraenti, quell’attimo che cattura la spesa.
Endecasillabo - È ritmo, una misura che si ricrea, differente e costante. Trascina instancabilmente, è narrativo – il flusso del dire.
Giallo – Il suo primo e principale ingrediente è l’enigma (rompicapo, puzzle, mistero). La sua prima formulazione è la Sfinge – e Oreste.
Heidegger – Hannah Arendt che gli rimane fedele – rimane fedele a un uomo donnaiolo e sgradevole – non è la filosofa, né l’intellettuale, né l’ebrea succube: è la “buona moglie” tedesca di Stendhal. Non c’è altra spiegazione: benché colta e impegnata, e sensibile al corteggiamento, è fedele, al primo amore e all’amore considerato come una virtù in se stesso, “qualcosa di mistico”.
Indiscrezione – Rovina la sorpresa. L’Italia, che già al tempo d Stendhal aveva un gusto particolare per l’indiscrezione, con cui spogliava generali, ministri, sovrani, e signore, è per questo un paese sena meraviglia. Quindi senza spirito d’avventura e senza romanzo Senza passione anche, checché ne pensasse Stendhal: si fa ammuina (passione e intelligenza fanno capolino negli intervali, una forma di resistenza. L’Italia, cioè Milano e Roma, allora come ora.
Il pettegolezzo è stato qui molto prima del gossip. Specie nelle dispute letterarie, da Foscolo ad Arbasino. Il pettegolezzo anticipa, e avvilisce, la sorpresa. È un dato “genetico” – caratteriale, della lunga durata della storia? Oppure un quetzalcoatl svegliato a un certo momento e che da allora si mangia la coda? Questo potrebbe essere materia di un romanzo storicizzato, ora che il pettegolezzo è un fatto mondiale, con il ritorno alla cultura orale in un contesto di simultaneità.
Informazione – l proprio dell’informazione è dei servizi segreti. Dei professionisti, cioè, del silenzio e della dissimulazione. O della simulazione.
Intellettuale – Se è comunista, anche democrat, è prevedibilissimo: per lui sta tutto scritto, per gli economisti tutti, specie del lavoro, per gli storici e per i letterati, anche per Asor Rosa o Cacciari, perfino per Canfora. Da qui il senso di uneasiness che essi danno. E la marginalità politica della cultura nella Repubblica. Che più spesso è impoverimento della cultura stessa, come si vede all’università e negli studi umanistici negli ultimi decenni (filosofia, critica letteraria, storia, antropologia, sociologia): dovendo costituire una biblioteca non si saprebbe che tenere, poco.
Proust – La bellezza proustiana sa di Breughel. Anzi di Bosch. Quando è riposata fa intravedere Manet, e solo salva le principesse mamme.
letterautore@antiit.eu
venerdì 19 novembre 2010
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