Dunque Marchionne è riuscito a rimettere veramente in moto la Fiat. Se può annullare il debito, pur in questa fase di ristagno del mercato. Mantenere l’obiettivo dei sei milioni di autovetture l’anno, sempre in questo mercato asfittico. Anticipare l’acquisto della maggioranza della Chrysler. E con Chrysler investire a Torino, la controprova che la casa ameericana è effettivamente risanata, come del resto il presidente Usa Obama ha testimoniato in più occasioni. Marchionne è riuscito in due anni, anni non facili, di crisi perdurante del mercato, là dove per trent’anni i vari azionisti avevano sempre fallito. Cioè per molti anni la Mercedes: Chrysler ha anzi minacciato la stabilità del colosso tedesco, dopo averne triturato i migliori manager.
Non c’è, è ovvio, una superiorità tedesca scritta nella storia. E si capisce ora, in questo tornante della gestione Fiat, quante occasioni il gruppo ha sprecato, e ha fatto sprecare all’Italia, nel quasi mezzo secolo di gestione dell’Avvocato, per molti anni in compagnia di Cesare Romiti, entrambi impegnati unicamente ad assicurare un dividendo alla famiglia. Un gruppo che Valletta aveva lasciato a fine anni Cinquanta al quarto posto tra le case automobilistiche mondiali, dietro le tre americane, e che ora arranca. Senza neanche un buon modello di media cilindrata. Avendo lasciato il segmento alto, e più redditizio, interamente alle case tedesche.
martedì 30 novembre 2010
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