martedì 9 novembre 2010

Memoria di Répaci, nel lungo oblio

Un monumento alla (vana)gloria. Uno scrittore e un’artista che è stato al centro della vita culturale per mezzo secolo, che Salerno documenta con testi e lettere dello stesso Répaci e con uno sfavillante corredo d’immagini, in un’edizione curata con lusso, e subito dimenticato. Non trascurato, cancellato. Benché Rubbettino ne vada ripubblicando le opere, molte a cura dello stesso Salerno, altre di altri studiosi e critici militanti calabresi, Pedullà, Morace, Tuscano. Salerno ha anche raccolto per Rubbettino, in un altro omaggio editoriale di prestigio, le dediche a Répaci dei tanti libri della sua biblioteca, donata alla casa della cultura di Palmi, insieme con la ricca collezione d'arte: c’è di che trasecolare, tanta è la stima che esse testimoniano. È dunque questo grande libro un monumento anche all’ingratitudine?
Répaci è stato un personaggio scomodo. Sia come scrittore, per il paradigma di forza, istinto, vitalismo nel quale racchiude le sue narrazioni. Sia come organizzatore culturale, attivissimo, sempre entusiasta, e quasi furioso. Fu giornalista, critico letterario, critico d’arte e musicologo, pittore, editore. Inventò e portò a prestigio il premio Viareggio, come documenta il corredo di foto che illustra il volume. Fu antesignano inventore di un premio poi perento, il Firenze per l’ecologia, negli anni 1950. Ma era un impolitico. Radicato nel socialismo, ma troppo orgoglioso per accedere a compromessi, sia pure la premiazione di un libro o di un autore, che non si nega a nessuno. Lo sgomento che questo importante libro ingenera è che non si sa se dare torto a una persona onesta e a un autore comunque ragguardevole, oppure a tutto il resto, che lo ha obliterato.
Poi c’è la Calabria. Che Salerno qui mette all’inizio del volume, con la foto della madre, oberata di figli e disgrazie e sempre forte, e il ricordo del terremoto del 1908. Ma che Répaci sentì sempre in tutte le sue fibre, nel carattere, e cui fa riferimento in quasi tutte le sue opere, benché ne sia partito quando aveva appena dieci anni, ritenendo questa radice “un privilegio”. Costituì perfino una raccolta di pitture di grande valore, Modigliani, Guercino eccetera, negli anni 1950-1960 per poterne arricchire “il paese natale”, spiega già nel 1966 ne “Il caso Amari”. Un altro Répaci in un’altra regione avrebbe avuto un’altra storia: approfondimenti, considerazione, e magari, perché no, un uso estensivo della sua figura e delle opere. Ma la Calabria, regione benedetta da Dio, direbbe Répaci, non ha memoria, non che se ne curi.
Santino Salerno, Leonida Répaci, una lunga vita nel secolo breve, Rubbettino, pp. 253, € 24

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