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giovedì 4 novembre 2010

Secondi pensieri - 56

zeulig

Capitalismo - È stato, è, una forma di rottura della tradizione. Che è l’equilibrio sociale e psicologico, di valori progressivamente messi a punto, o senso della misura. Ma a fini prevalentemente di profitto, e quindi conservatore. Anche quando patrocina e impone il cambiamento. L’età del capitalismo è l’età della solitudine, sotto forma di individualismo. Della nevrosi cioè e dell’alienazione. Della violenza anche senza freni, contro se stessi e ogni altro, nel mondo e in famiglia, anche in forme non dissennate, oppure quiete.

Diritto – Gli antichi romani, ricorda Simone Weil, “Sulla Germania totalitaria”, erano crudeli. Con i nemici, e con i famigliari e gli alleati. Lo erano incontestabilmente, anche passando sopra all’onore, che pure si gloriavano di venerare.
Ma i romani erano anche gente del diritto, incrollabilmente legati alle procedure, ai precedenti, ai principi. A tutto l’armamentario formale che fa la forza del diritto. È il diritto basato sulla crudeltà invece che sulla giustizia? Crudeltà che è indifferenza, prima ancora che passione (S.Weil: “I Romani godevano di quella soddisfazione collettiva di se stessi, opaca, impermeabile, impenetrabile, che consente di conservare in mezzo ai crimini una coscienza perfettamente tranquilla”).

Purezza – Crea molti scompensi. Quello fisico-chimico (dei materiali, dei procedimenti), quello etico, quello religioso (quante eresie!), e ora quello etnico o razziale. È però sempre in cima nella scala dei valori.

Ragione – È riflessione. C’è anche nella fantasy, che è costruita, nell’horror, nella scrittura automatica, nello stream of consciousness. C’è una ragione “matematica”, nel senso dell’ordine euclideo, ingegneristico, del calcolo, delle leggi. E c’è una ragione estensiva, mutevole, aperta. Sempre però la ragione è riflessione, e tutto è ragione, dal sogno al trip – colloquio con se stessi, se non col mondo, comunque con “altri”.

Razionalismo - È una forma minore di umanità, limitata a un quinto, se non a un sesto, di tutti gli esseri umani. Della cui grande maggioranza, cinque miliardi, si poteva proporre come “superiore” sviluppo, anche in chiave di decolonizzazione, fino a qualche anno fa. Fino cioè a prima dell’adozione cinese del fordismo, la civiltà della produzione e dei consumi di massa, che è la migliore (più complessa, immaginosa e realistica insieme, benevola, utile) applicazione pratica del razionalismo.
Soprattutto nella forma dello sciamanesimo, che è scongiuro, e quindi in qualche modo formula assicurativa, ma anche come credenza in forze vitali, l’umanità è sempre essenzialmente vitalistica.

Realtà – Continuiamo a dire che il sole sorge e tramonta quattro secoli dopo Copernico, il quale spiegò che a girare è la terra. L’uomo s’intigna contro la realtà, la natura. Perché l’uomo è solo marginalmente (fisicamente) naturale.

È delimitata dalla comunicazione volontaria – e da una vista anteriore convergente. Sarebbe diversa se si potesse sapere tutto ciò che si dice a parte oppure si pensa. O se si potesse vedere a 360 gradi, in orizzontale e in verticale.
Scomparirebbero allora alcune distinzioni non intelligibili, destra-sinistra, amico-nemico (la diffidenza)?

Religione – Dà non un senso ma una proporzione alla storia.

Si può immaginare, più che come amore, o timore, di Dio, come insensibilità all’accumulo: l’antitesi del capitalismo. Che non è riduttivo: capitalismo, alla radice, sta per materialismo, sensibilità alle cose che alla fine è ateismo, anche nella pietà dichiarata e praticante, dei cattolici come dei protestanti, e degli ebrei.
Si capirebbe così (avrebbe un contenuto) anche la religione laica.

Scienza – Tutto si muove, è vero, ma nulla muta, non nei procedimenti né nelle proprietà. La scienza copernicana andrebbe integrata con il matter-of-fact tolemaico.

Simbolo – Conduce all’afasia, se una cosa significa (rimanda a) un’altra. Da qui l’insignificanza della psicanalisi.

Sport – Ha il fascino dell’uguaglianza, essendo puro talento.

Tempo – C’è solo se libero.
È misurato – è – dalla cose da fare, come dice Aristotele. Gli anni luce sono una misura troppo grande, insignificante – e solo perché alcuni oggetti si spostano.

È relativo, prende spessore in un con testo. Ha “più” tempo” un manovale indiano che dall’età di dieci anni lavora dall’alba al tramonto e vive in un villaggio di fango, oppure l’operatore di marketing di Segrate, che lavora via computer, sulla sedia anatomica, con l’aria condizionata? “Più” tempo per la sua vita non materiale (affetti, usi, svaghi), o come attenzione, vivendo in un mondo integrato. Se si depura il flusso della vita (del tempo) dal possesso delle cose, il ritmo diventa o naturale, sia pure per assuefazione, o innaturale, cioè costretto.
Si spiega l’ozio, che non è “perdita” di tempo. O il “tempo del carcere” (Vittorio Foa).

Il cosiddetto tempo reale è ripetizione. Anche per accumulo, ma sempre ripetizione è. Altrimenti il tempo (s)fugge. Il senso del tempo reale si ha attraverso la memoria di un accadimento, quindi attraverso una catalogazione, l’applicazione di certi standard o criteri (sociali, psicologici, culturali, tribali, familiari, etc.) che a loro volta derivano da precedenti catalogazioni.
Altrimenti è solo fretta, accatastamento, confusione, senza memoria. Una rapidità significativa implica anch’essa una selezione. Una piramide si costruiva, senza strumentazione idraulico\elettrica, in cinque-dieci anni, oggi non si pensa nemmeno di poterla costruire. Il Colosseo, costruito in cinque anni, oggi non si farebbe in dieci, con tutte le gru e i mezzi di trasporto pesanti, e dopo cinquant’anni sarebbe da rifare – si costruiva allora con tanti morti, oggi pure. L’organizzazione è legata al senso del tempo – il principio dell’economia – e non alla tecnica.

Quello della politica è lentissimo: anche quando gli avvenimenti sono rapidi, catastrofi, guerre, la politica si muove come un pachiderma. Quello dell’economia invece è frenetico, e ogni istante può essere pieno di cose – si scatena una crisi mondiale in secondi. La differenza non è data dal pubblico contro il privato: nella crisi economica anche le decisioni pubbliche possono essere istantanee e radicali.
Le cose dipendono dalle decisioni. Da verifiche cioè, controlli, combinazioni di poteri, che sono impalpabili, sotterranei, perfino esoterici, e quindi inspiegabilmente velocissimi o lentissimi. Il discrimine è allora l’interesse, per il denaro, per le cose materiali, il possesso? In questo senso ha ragione Marx: il denaro domina.

zeulig@antiit.eu

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