Giuseppe Leuzzi
Sudismi\sadismi. Fondo al vetriolo del “Corriere della sera” domenica 17 sulla farsa in Piemonte, dove si ricontano i voti ma non si sa con quale criterio, e con dubbia autorità. Dopodiché il severo, quasi giansenista, commentatore Cazzullo, uno di Cuneo malgrado il nome, conclude: “La linea della palma è salita fin sulle Alpi”. Povero Piemonte, vittima della Sicilia.
Mafia
Se l’esperienza personale, peraltro di una vita, in una delle aree più mafiose del mondo, potesse valere come legge, un’altra definizione se ne darebbe: “La mafia, cinica, violenta, avida, è stupida”. E furba, tutti gli stupidi sono furbi. L’eloquio mafioso si limita alla minaccia, più spesso sotto forma di silenzio torvo. Fra tutti un solo caso è emerso di razionalità, quella che i sicilianisti definiscono vecchia (buona) mafia, ed è stato l’unico puntato e abbattuto dai carabinieri. È gente del disonore..
Il fine dell’arricchimento (Hess, Sciascia) ha titolo a entrare nella definizione ma senza connotazioni di razionalità o economicismo, poiché non ci sono mafiosi di seconda generazione, e il godimento dev’essere dissimulato – il mafioso vive come un topo, in Mercedes 300 SL.
Anche le imprese mafiose, scrivono i giudici di Reggio Calabria, devono pagare il pizzo al capomafia di zona. Per dispiacere ai teorici della mafia imprenditrice?
È il nemico di dentro e di fuori - opera come un’infezione: la violenza non perseguita, diventa infetta, è un cancro.
È un cavallo di Troia: mentre il Sud è assediato dal nord, ecco insorge la mafia. I mafiosi si fanno forti di essere le terze colonne: cattivi e determinati certo, ma anche brutti, sporchi e ignoranti, vincono perché protetti. Prosperano e impazzano grazie al nemico esterno, che senza far nulla per combatterli, per esempio arrestarli, ne esalta con strilli e urla la potenza e la terribilità. Fiaccando la resistenza.
Uno dei mezzi d’assalto del nemico esterno è la teoria dell’omertà. È come il delitto d’associazione: non se ne sfugge.
Ora che i mafiosi ricattano i “padroni” sul loro territorio si romperà l’alleanza? No, perché il ricatto non c’è, si sono accordati e si accorderanno: il mafioso sa chi è più forte, come sa chi è più debole, può fare errori ma capisce quando deve rientrare nei ranghi.
Calabria
Si fa per i santi un pasto gargantuesco, in famiglia e fuori – mai i ristoranti sono così affollati. Per la stagione forse, che nelle terre di montagna è quella dei funghi e le castagne. O perché è la vigilia dei morti, ricorrenza per la quale tutti ritornano a casa – ci sono più ritorni per i pochi minuti di visita al cimitero che per Ferragosto. Per il perpetuarsi dell’attitudine greca allo scongiuro: sarà una “mangiata” apotropaica, nel senso che “loro sono morti ma noi siamo vivi”.
Anche la conversazione luttuosa che prevale nelle famiglie, in questa come in ogni altro stagione, avrà funzione di scongiuro. Tutto quel parlare di malattie, morti e disgrazie, anche di persone di cui è impossibile tramare un ricordo.
Ha in tutto il complesso della Sicilia, di cui condivide la lingua e quindi la “cultura”. Ma in politica non presume di sé come invece fa l’isola – che pretende sempre di esportare modelli politici, d’influenzare Milano, d’imporre “la linea della palma”, tutto lo scemenzario a cui purtroppo s’è esercitato anche Sciascia. Invece la Calabria ha dato all’Italia il modello della politica degli ultimi vent’anni: col generale dei carabinieri Bozzo, ligure ma comandante in Calabria, e col giudice Cordova, Msi, ha sferrato nel 1990 l’offensiva parafascista contro la politica, iniziando dai socialisti. Mentre il Procuratore Papali, reggino a capo della Procura di Verona, inventava l’arresto preventivo degli imprenditori, l’altro cardine di Tangentopoli. La Caabria ha impiantato il modello del suicidio dell’Italia.
L’offensiva contro i socialisti in Calabria poi non ha prodotto nessuna condanna, nemmeno in primo grado, ma a quel punto il golpe era fatto, anche se non è riuscito – Cordova ancora mastica amaro.
Straordinaria la mancanza d’iniziativa nella provincia di Reggio Calabria. Che solo in parte può scusare la paura, la criminalità. Si prenda la piana di Gioia Tauro, l’ex valle delle Saline, con apice su Delianuova e base su Rosarno e Palmi, un centinaio di kmq. di fertilità straordinaria, per la natura del suolo, l’acqua, l’esposizione. Ma le colture irrigue nella vasta soleggiata valle di Quarantano sono occasionali come sempre e trascurate. Altrove, con meno insolazione e meno acqua, si utilizza l’omeotermia per moltiplicare i rendimenti e perfino i raccolti, con impianti coperti o al calore delle serre, qui si fa il minimo, quanto serve alla famiglia. Tante specialità che si venderebbero a premio, per il sapore e la stagionalità, di cucurbitacee, melanzane, pomodori, fagioli (fagiolini “vajaneje”, fagioli di Spagna), si producono quanto serve. I castagni in collina, che danno un frutto grande e gustoso, le ‘nserte, sono abbandonati, o liberamente tagliati. In tutto il resto d’Italia si è inventata un’economia del castagno, per tutto ottobre e anche novembre, qui si tagliano gli alberi per bruciarli nel caminetto. Dell’olio d’oliva, di cui la Piana di Gioia Tauro è la maggiore produttrice in Italia, per ettaro e nel totale, solo ora si comincia a produrre extravergine di qualità, e ancora, in quantità ridotte, da parte di tre o quattro industriali. Degli agrumi, di cui il reggino vanta una qualità “tutto l’anno”, e una specialmente succosa a buccia sottile, si sa solo che “non vale la pena raccoglierli”. Il vino è inesistente – più spesso berrete il vino sfuso “frizzante” o “fermo” che qualcuno dal Veneto fornisce a tutta Italia. Il vino di Palmi e di Bagnara, che si pregiava ancora nel dopoguerra e costituirebbe una rendita nella crescita esponenziale del mercato del vino, è letteralmente scomparso. Nell’Ottocento se ne faceva industria: “Il vino di Palmi e Nicastro si conserva per otto anni”, attesta il comandante in seconda della Royal Navy britannica Philip James Elmhisrt, che fu prigioniero dei francesi nell’inverno del 1808 tra Gerace e Vibo Valentia in seguito a naufragio: “La superiore qualità di quei vini si deve alla migliore qualità del terreno e alla maggiore cura che si dedica alla coltivazione della vite”.
L’artigianato è abbandonato, del legno, della ceramica, della tessitura. Tutte arti che pure hanno prezzi unitari di vendita elevati. Il turismo, dopo quattro o cinque false partenze (costose campagne promozionali della Regione), si deve forse dire inadatto alla Calabria. Che ne avrebbe tutti i titoli, paesaggistici, la famosa montagna sul mare, scenario unico, di clima, di qualità dell’aria e delle acque. Ma l’ospitalità per cui la penisola va famosa limita evidentemente al fatto personale, e sempre eccezionale, mai dovuto. Non c’è costanza, umiltà, disponibilità. Il servizio è sempre scadente. La cucina trascurata. Il mare cristallino non ha le patenti di Lega Ambiente perché i sindaci non curano i requisiti a monte: servizi igienici, sanitari, di guardia, eccetera. Per non dire del patrimonio culturale, che offrirebbe parecchi punti e manufatti d’interesse esclusivamente locali, magno-greci, brezi, bizantini, normanni, ma sono ignoti agli stessi calabresi, nella famiglie e a scuola.
E le case. Tuguri di cemento armato, solitamente senza tetto, con muri di mattoni forati senza infissi e colonne grezze da cui i tondini di ferro fuoriescono a mazzi, perché il progetto è solo di costruire un piano in più del vicino, e lanciare sul fronte un aggetto il più voluminoso possibile sulle strade e gli altri spazi pubblici. Cemento e polvere invece dei giardini di agrumi, approssimando Reggio Calabria.
Manufatti in cui sono seppelliti i risparmi di una vita, i debiti con la banca, e annualmente le imposte e le tasse. Che non saranno mai completati e utilizzati, e anzi nascono inutili. Nessuno nei Comuni che imponga il rispetto dei regolamenti edilizi per il loro bene. Nessuno che spieghi o fornisca moduli semplici ed economici di costruzione di una civile abitazione, Nessun imprendo tre che metta a punto una formula abitativa in grado di soddisfare le esigenze di chi no ha moto da spendere per una casa vera. Le case migliori sono le costruzioni di chi è emigrato, che di ritorno porta i moduli delle brutte periferie di Milano o di Roma, le sole realtà che ha conosciuto.
È l’anarchia, si dice. È la democrazia integrale. Nessuna Auctoritas è riconosciuta alla funzione pubblica, perché le istituzioni fanno capo agli stessi che le svuotano, se non per fini personali e di clientela. Non c'è disobbedienza perché non c'è governo - se non il governo abusivo dell'abusivismo. Né c’è legge che tenga, l’unica soddisfazione è la sopraffazione. Anche a un costo, c’è chi ci rimette “per il principio” della sopraffazione. Per l’invidia sociale che vi è l’unica costante, e anzi una virtù. Se essa non è, a ben leggere la realtà, il vero cuore della democrazia. Non il benessere, non la libertà, ma la piccola vendetta è lo scopo principale, anche a costo di rimetterci: la democrazia non regolata è una brutta bestia.
La casa è sempre stata un problema in Calabria, espressione materiale dell’anarchismo autodistruttivo, del disordine interiore. Lo svizzero Charles Didier, in viaggio per la penisola nel 1830, a 25 anni, era stupito della natura e delle persone, ma inorridito dalle case: “I villaggi della Calabria, come le città del resto, sono orrendi: nessun ordine, nessuna regola costruttiva, neppure l’ombra di architetture, le case, veri e propri tuguri informi, sono sovrapposte a caso le une sulle altre come massi precipitati dalle montagne per un terremoto…”
Palmi ha un mare di trasparenza cristallina, spiagge di chilometri e un entroterra omerico, ma non ha un piano regolatore. Non che si veda: ognuno costruisce dove vuole, con l’acqua corrente e col bagno, o anche senza, e chiede milioni per l’affitto. Per quante volte?
“Modena libero! No mafia” W la P.S.” Una scritta murale nel quartiere Modena di Reggio Calabria, che chiunque può aver fatto con lo spray, anche un agente di P.S., infiamma da qualche giorno la “Gazzetta del Sud”. Che ci vede “un segnale di svolta”. Verso dove?
leuzzi@antiit.eu
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