Girano Suv imponenti da 100 mila euro in su nei paesi scompaginati tra le buche in Calabria, nell’entroterra napoletano, al Tiburtino Terzo a Roma. Con spreco di carburante, assicurazione, gomme. Si stappano bottiglie da cento euro nei bar e i ristoranti dei paesi più remoti della Calabria e della Sicilia, da parte di ragazzotti senza mestiere né reddito conosciuto. Si moltiplicano ovunque i porticcioli turistici, ma sempre indietro sulla domanda, che si aggira già sul milione di posti barca. Si montano sempre più scuderie in ogni angolo d’Italia, con tre e quattro cavalli, i figli di famiglia e anche chi la famiglia non ce l’ha. Stili di vita che richiedono spese per centinaia di migliaia di euro, l’anno.
L’Italia è un paese ricco, e quindi non c’è scandalo. Se non fosse che il fisco non lo sa. L’Agenzia delle Entrate si fa valere come un’organismo coi fiochi e sempre si magnifica, meglio dei carabinieri, mentre non lo è. Perché le basterebbe aprire gli occhi, uscendo per un momento dai modelli e i software di cui l’ha oberata Visco, e i loro assurdi automatismi, per cogliere la realtà. Basterebbe poco, pochissimo, in uomini e tempo, per battere la famigerata evasione. Un agente-consulente-informatore o due in ognuno degli ottomila Comuni italiani, che solo si limitassero a una passeggiata di tanto in tanto per le strade del paese, e nelle città uno-due per quartiere, darebbero un quadro immediatamente aggiornato dei redditi veri degli italiani. Venti-trentamila agenti del fisco in tutto - magari pagati a premio, per accertamento convalidato. Roba di un anno-due, per impostare gli schedari e lanciare i controlli incrociati. Perché l'evasione, in Italia, è esibita, che ci stanno a raccontare che è imprendibile?
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