La sanatoria di Maroni e Tremonti è costata a ogni immigrato non in regola (e chi è mai in regola in Italia, specie se immigrato?) 500 euro secchi. Più tutti i contributi Inps arretrati per il periodo che l’immigrato dichiarava di avere trascorso in Italia, seppure con lavoro precario: nessun datore di lavoro, né le famiglie né le aziende, pur garantendo per l’immigrato, si è sobbarcato la spesa - quando non si è fatto pagare (in Calabria, in Sicilia, in Puglia è stata la norma) per “dichiarare” l’immigrato. Più una cifra non sindacalizzata, ma non inferiore ai cinquemila euro, per l’intermediario in grado di portate a termine la pratica di sanatoria: più spesso un ex questurino, o qualcuno con entrature in Questura, o anche un agente in servizio, talvolta un avvocato. Cinquemila euro, un capitale.
La protesta dei quattro immigrati sulla gru a Milano diceva alcune cose che i giornali non ci hanno detto ed è bene che si sappiano. Una vera e propria commedia all’italiana. Un noir metropolitano se si fossero scrittori che non scrivono per il partito. Che riguarda i quattro ma anche centinaia di migliaia di lavoratori immigrati, che tutti insieme farebbero un “Novecento” ben più solido e veritiero di quello di Bertolucci: la legge Bossi-Fini che in teoria regola l’immigrazione è il più colossale racket mai montato in Italia. Roba da far impallidire i professionisti del pizzo, in Sicilia, in Calabria, i casalesi. Una legge che si appella tra l’altro sarcastica alla sicurezza per creare il più grosso serbatoio di malaffare che sia mai esistito. Più ignobile dei tanti altri, poiché sfrutta il lavoro povero.
Ci si era sempre chiesti perché l’Interno avesse delegato alle Questure il controllo dell’immigrazione. A operatori cioè non addestrati, e senza alcun interesse a imparare, giacché l’immigrazione non paga straordinari e non apre carriere. Ora si sa: per salassare meglio, con l’insipienza, la disorganizzazione, la neghittosità, gli immigrati poveri.
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