Rifinanziati i debiti dei paesi insolventi, per ora solo due, Grecia e Irlanda, il problema del debito che pesa sull’euro si ripropone insoluto. Forse non sono soldi buttati al vento, ma quasi. Un consolidamento è imprescindibile. Oppure l’abbandono dell’euro alla svalutazione, alla sospensione, alla riperimetrazione. Tutte soluzioni politicamente impraticabili, pena il dissolvimento di tutta l’Unione Europea (il "Financial Times" minaccia oggi l'abbandono del Fondo di coesione, il singolo più grosso capitolo di spesa dell'Unione, 347 miliardi di euro, perché i paesi che ne avrebbero più tratto profitto, Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, sono quelli che più hanno messo a rischio la stabilità monetaria: cioè, si minaccia il dissolvimento dell'Ue per molto meno).
Anche il consolidamento è impraticabile, ma non in astratto né in perpetuo. La cancelliera Merkel si è opposta all’avvio del consolidamento europeo attraverso l’emissione di Eurobond (il trasferimento parziale dei debiti nazionali in debito europeo), ma questa è l’unica strada valida. L’unica cioè alternativa ai salvataggi dei singoli debiti, che il mercato giustamente non considererà mai definitivi, o accettabili in perpetuo – il salvataggio non è la soluzione del problema. La cancelliera, che affetta di considerare i salvataggi la ricetta giusta, in realtà non ne è convinta - non ha convinto i suoi elettori, non ci ha nemmeno tentato, che non sono i tedeschi che pagano per l’euro forte, ma sono gli altri europei che pagano per un euro tedesco. Bisogna fare la politica dei proprio mezzi, non eccedere in pretese: l’Europa è forse la maggiore area integrata di produzione e consumo (la vecchia “Fortezza Europa”) ma non è la maggiore area economica del mondo, e nemmeno la seconda – e potrebbe non essere a breve nemmeno la terza.
L’altra soluzione, prospettata da Mario Draghi, va nell’eccesso opposto. Draghi propone la “soluzione italiana” del 1992, con se stesso alla direzione generale del Tesoro e Ciampi alla Banca d’Italia: un avanzo primario, nella gestione pubblica, colossale e stabile, in grado di abbattere il debito in una diecina d’anni, mediante forti tagli di spesa e nuove tasse. Un modello che “ucciderebbe” cioè la residua capacità di crescita dell’economia (gli effetti perversi del vincolo debito sono esaminati in dettaglio in “Consolidare il debito”, lo studio in blog il 2 marzo 2009, http://www.antiit.com/2009/03/consolidare-il-debito.html). L’Italia sopravvisse nel 1992 proprio per il presupposto della cura da cavallo che Draghi propone: la svalutazione del 40 per cento della lira, grazie alla quale la macchina continuò a lavorare ancora per l’esportazione. Per un paio d’anni, non di più. Nei diciotto mesi da metà 1995 a fine 1996 si perdettero un milione 750 mila posti di lavoro. La deflazione, senza un taglio netto al debito, si può dire da allora cronica in Italia, con tassi annui di crescita raramente superiori all’1 per cento, e in tre anni perfino negativi.
Delle tre ventilate resta valido solo il consolidamento: la riduzione in qualche forme del debito accumulato.
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