È Berlusconi un vuoto che riempie un vuoto? La seconda parte del quesito è certamente un fatto, che si avvia a compiere i cento anni, dal dissolvimento della Destra storica dopo la Grande Guerra. L’Italia, nelle periodiche oscillazioni dell’opinione, in astratto salutari all’organismo, sbocchi di cui ha bisogno, quando va a destra è quasi un secolo che non trova una leadership, non una democratica, un partito, un’indicazione di governo. La Dc c’è riuscita a tratti, quando ha governato bene: la scelta atlantica, la scelta europeista, l’euro. Ma la Dc si è dissolta proprio quando l’opinione svoltava decisamente a destra, ormai sono quasi vent’anni: per un governo stabile, per minori tasse, per minori vincoli al lavoro. In questo cambiamento radicale, l’Italia non ha trovato perciò pronti buoni maestri. Molti vi si sono sostituiti: i giudici, la Lega, i reduci Dc. Ma senza convincere, anche perché i difetti presentavano evidenti, l’opportunismo e anche la contraddittorietà. Non ci si può impadronire della giustizia e usarla come una clava. Non si può chiedere il decentramento e insieme l’abolizione del Sud. Oppure meno Stato e più Stato insieme. Né si può propagandare l’uninominale per allargare la presa del Parlamento sul governo invece di riequilibrarla. E per accentuare l’impotenza parlamentare invece di ridurla. Per ultimo, nell’impasse che s'era creato, Berlusconi ha occupato gli spazi, una prateria aperta, e l’opinione di destra, sempre prevalente, ha pensato di avere trovato una guida capace.
Berlusconi è bene o male in Italia il cambiamento. L’unico cambiamento possibile in Italia, cioè non rovinoso come sarebbe buttarsi con Bossi, o con Fini, o con altri avventurieri minori, seppure portati da certa sinistra. E il cambiamento è indispensabile alla democrazia. La rappresentanza popolare, la divisione dei poteri, la mediazione incessante sono poca cosa rispetto al ricambio. La democrazia è un caleidoscopio, lento, di gruppi di ogni colore sociale che entrano nel focus del potere, ne comprendono i meccanismi, se ne avvantaggiano, e lo rivitalizzano. È il meccanismo della speranza rinnovata.
Le democrazie bloccate – quella italiana, quella giapponese – possono produrre più guasti, pur restando in un ordinamento democratico (elezioni periodiche, libertà di organizzazione e espressione), di un regime totalitario. Per esempio, in Italia, l’enorme numero di morti politici, la corruttela elevata a criterio d’ordine (la spartizione o lottizzazione), l’inefficienza e gli altissimi costi delle opere e dei servizi pubblici. In una tale situazione il sistema dei controlli (checks-and-balance) è d’altronde regolarmente inceppato. Mentre le istituzioni democratiche fatalmente derivano all’inconsistenza: sono simulacri dell’opinione pubblica la Rai, o della giustizia e della divisione dei poteri il Csm e la Corte Costituzionale – organismi probabilmente rispettabili ma, in assenza di ricambio, inaffidabili. Il cambiamento è necessario per mantenere aperta e diffusa l’opinione pubblica, dandole una funzione di controllo realmente popolare, invece che, come è, di parte,e più per gli interessi costituiti e opachi. Solo così si dà un senso democratico alla cultura di massa, che altrimenti è niente più di un mercato di consumo.
I suoi nemici epitomizzano in Berlusconi un’Italia da “Grande Fratello”, arrogante, vacua, alla perpetua ricerca del “successo”, inteso come “scandalo”, col connesso guadagno facile. Questa parentesi è sempre necessaria quando si parla di Berlusconi, uno che si insediato per vent’anni alla guida politica dell’Italia venendo da una vita di venditore, d’immobili, di pubblicità, di belle fiche in tv. Ma, seppure il legame di questi fenomeni con Berlusconi fosse giusto, che Berlusconi ne sia espressione o addirittura il demiurgo malefico, è sbagliata l’identificazione dell’Italia alla tv, a quella tv. Il problema si pone ma al contrario: l’omologazione avviene non per la supina quiescenza del Paese ma per la prepotenza del mezzo, direttamente e indirettamente, sulla società. Più indirettamente che direttamente: il mezzo non ha poteri ipnotici, contrariamente alle sciocchezze che si vanno scrivendo, ma è quello che si dice e si vuole che sia. Dai suoi strateghi commerciali, quindi anche da Berlusconi, Ma col contributo, determinante e non disinteressato, dei media, o intellettualità. Con un sostegno attivo dichiarato (consulenze, collaborazioni, presenze, contratti, cachet) e anche con quello critico.
Non è l’Italia che è malata di Sanremo. L’Italia vede il festival, se lo vede, e se lo dimentica, la mattina va a lavorare. È il gran parlare che ne fanno i media di ogni bordo, telegiornali, giornali, tv concorrenti, editorialisti, filosofi, medici (quanti medici non parlano di Sanremo? dietisti, estetici, dermatologi, fisiologi), nonché direttamente tutti gli interessati, discografici, parolieri, musicisti, specialisti di marketing, pubblicitari, che distorce l’evento, e lo impone al Paese. In breve: la realtà è quella che è, buona e cattiva, il discorso su questa realtà è perverso e prevaricante. L’Italia sarà malata, più malata che la media degli altri paesi di pari storia e cultura, ma l’Italia intellettuale.
Il discorso della audience e dei lettori da inseguire e alimentare non è il falso problema dell’uovo e della gallina, ma piuttosto della panineria, o della mensa aziendale, del consumo cioè semiobbligato: il lettore e l’ascoltatore consuma quello che gli viene offerto, più o meno di malavoglia, e non ha scelta se non quella di non vedere il programma o cercarne un altro – non mangiare o scegliere un’altra caffetteria. Con difficoltà, questo è vero – come è sempre difficile trovare una caffetteria migliore, vendono tutte prodotti di catering standardizzati. Ma perché il discorso sulla televisione – come quello del panino, di cui non si può fare a meno – crea modelli, schemi, reazioni, insomma linguaggi, sempre più uniformi e poveri. Non è vero, ma allo stesso modo del “Grande Fratello” bisognerebbe dire la sua tv, la tv dell’Italia, anche la miriade di programmi facinorosi d’informazione, di ascolto altrettanto grande ma di peggiore turpitudine. Se è turpe esibire glutei e tette, e dire le parolacce – ma non lo è, è solo un’esibizione di lussuria povera, e sempre castigata, moralistica – che dire della calunnia, dell’odio, e dei dossier (non tanto) segreti che hanno preso il posto del giornalismo?
Il problema Berlusconi, quello vero, è che catalizza l’opinione e i voti malgrado difetti colossali. Di carattere, d’interesse personale, e soprattutto d’immagine, cioè di gusto. E forse, malgrado l’ambizione, d’interesse alla politica. Il problema è che per una massa solida d’italiani non c’è alternativa, non migliore di un Berlusconi – il panorama è in effetti sconsolante, di vecchie carcasse, ancorché giovanili, e riti obsoleti, ripetitivi, in fondo anche nauseanti. E cattivi: ecco, l’opposizione sa essere solo cattiva. Mentre Berlusconi, che è il padrone per antonomasia, il prototipo del riccone, come egli stesso si definisce, non ha mai licenziato nessuno. Non ha mai sottopagato nessuno – eh sì, anche la vicenda delle battone è veritiera in questo senso.
È così che le attese sono andate deluse (“è Berlusconi un vuoto?”). Uno che paga le ragazze settemila euro per fargli compagnia a cena e ascoltare le sue canzoni non ha tutte le rotelle a posto. Quattordici o quindici ragazze. Per non dire del gusto: tutte facce postribolari, come le dame baresi che infiocchettavano i pranzi romani a palazzo Grazioli. Mentre potrebbe avere gratis al desco, se non ha nemmeno un’amica, le belle parlamentari del suo partito. Che tra l’altro lo applaudirebbero entusiaste.
Mentre, sull'altro versante, è necessario sempre aprire questa parentesi, la Procura di Milano senza vergogna, invece di fargli un processo vero, uno solo, gliene fa dieci, cento, indaga anche i suoi avvocati, cosa inconcepibile in qualsiasi concezione della giustizia, e niente. L’indignazione non basta, anche se è molto milanese, di una città cioè “indignata di professione”, una macchietta alla De Sica – cioè: di Milano, che ci governa, bisogna aver paura: “l’indignazione”, direbbe Dario Fo, “è l’arma dei coglioni”. Ci vuole un capo d’accusa, uno solo. “Chi è condannato a difendersi”, dice Kafka ne “La tana”, “perisce”. Berlusconi no. E dunque? Sarà, come si è tentato di spiegare più volte, un prodotto di successo di quel marketing che è la sua professione e il suo segreto d'imprenditore - il venditore abile. In questa epoca che si vuole di mercato. A fronte di una opposizione in buona parte in malafede, oltre che incapace.
Ma il fatto importante è il costante, ormai ventennale, predominio della opinione di destra, anche quando le leggi elettorali hanno fatto vincere il centro-sinistra. E anzi il prevalere dell’opinione di destra nello stesso centro-sinistra. Il fatto – il problema politico dell’Italia – è dunque questo: un paese che vuole essere governato da destra, con meno tasse, meno vincoli di legge, e un governo stabile, non trova lo sbocco cui avrebbe diritto. In questa legislatura, dopo avere votato Berlusconi alle politiche, e la destra alle amministrative in contemporanea con le politiche, ha continuato a votare massicciamente Berlusconi anche nelle successive due tornate amministrative. Quasi a voler prevenire uno scontato tentativo di ribaltone. Che è sempre costante in Italia, contro i governi di destra come contro quelli di sinistra: c’è un partito della crisi che sempre sovverte ogni decisione elettorale. E questo è il secondo aspetto del problema – del fatto: c’è un partito dell’instabilità molto prepotente, che ogni volta è in grado di sconfessare il voto.
La pratica della instabilità può non essere organizzata - ma lo è: è una mentalità e una politica, quella del tanto peggio tanto meglio, su cui molte carriere spudoratamente si imbastiscono, che la caduta del Muro sembra avere rafforzato (liberato, diffuso) invece di liberarcene. Puntata apparentemente sulla corruzione e sulla mafia onnipresenti, ora anche sulla prostituzione, domani chissà, sulla droga, la camorra, la 'ndrangheta e il riciclaggio di denaro, la triade cinese... L'oggetto è inimportante, il crimine, anche quando c'è, è un fatto, tutti ne sono a conoscenza, la droga, il riciclaggio, gli appalti, ciò che importa non è combattere il crimine ma creare scandalo. Più spesso con le indiscrezioni, le voci, le dicerie, e i falsi avvisi di reato, cioè senza fondamento. Che sarebbero un altro reato, la diffamazione, ma in Italia sono zona franca, e anzi fanno l'opinione pubblica cosiddetta qualificata, dei grandi giornali e i famosi opinionisti. Questo partito ha vinto facilmente con Scalfaro alla presidenza della Repubblica. Con Ciampi non c’è riuscito. Con Napolitano c’è riuscito una volta, e ci ritenta.
Se Berlusconi è un vuoto è questione da rimandare. Le quattro votazioni a suo favore in due anni indicano un elettorato profondamente deciso a farsi valere, anche contro venti e tempeste. Considerando cioè le debolezze di Berlusconi un’invenzione dei suoi nemici, giudici, giornalisti e servizi segreti, o del partito della crisi. Oppure considerandole vere ma irrilevanti. È anche questione a questo punto marginale: il fatto – il problema – è che c’è un’opinione di destra, liberale, decentrazionista, liberista, che ha diritto ad avere uno sbocco politico. In astratto, in quanto opinione maggioritaria, e in concreto: l’Italia altrimenti resta bloccata – il debito cioè, il costo del lavoro, la stabilità del lavoro e del reddito, la produttività, e l’equilibrio sociale che alla produzione del reddito è collegato (sanità, pensioni, assistenza).
È questo un bene o un male? È un bene, ma non sarà opera del diavolo? L’alternanza è un bene per la democrazia, ma Berlusconi? Che è un bugiardo, e anche un cialtrone? Un po’ è da capire e compatire, perché è vittima della giustizia politica, la quale è insidiosa e disgustosa – oltre che nemica della democrazia, la democrazia anzitutto è giustizia. Ma lui o non capisce, o c’inzuppa il pane. Il che non meraviglierebbe, essendo egli milanese come la giustizia che lo perseguita. E così quest’uomo che ci avrà governati per vent’anni non resterà nelle storie come un Raffles o un Rocambole, ladro fantasioso. Non è nemmeno un Landru, freddo assassino. Non spia i suoi nemici. Non gli manda la coca in ufficio, come usa a Milano, non gli mette le ragazzine a letto. È un superficiale, non considera nemmeno che dei nemici killer e ladri gli stiano alle costole, di cui Milano invece è piena, non solo a palazzo di Giustizia. È perfino incapace, pur avendo fatto tanti soldi: paga puttane sboccate cifre iperboliche, perché stiano a tavola con lui, magari senza nemmeno scoparle. E si fa scrutinare ogni singolo atto da persone che paga profumatamente, cameriere, maggiordomi, portieri, lacché, se scopa, mettiamo una volta al mese, ha pure settantacinque anni, o se non scopa, tutto si sa di lui, al soldo della feroce antipolitica della sua Milano. Un uomo, insomma, non eccezionale. Che dà la misura degli altri, i suoi avversari.
Berlusconi di destra sarebbe anche contestabile, ma è la collocazione che lui vuole – unico peraltro: il conformismo è sempre a sinistra in Italia. E questo scombina le collocazioni tra destra e sinistra. O meglio dà un contributo al rimescolamento. Con Bossi e Di Pietro che vengono collocati a sinistra, pur essendo di destra a tutti gli effetti, e anzi di destra estrema, razzista l’uno, autoritario l’altro. E con loro una miriade di intellettuali e giornalisti di destra, e di destra estrema, che sono diventati collaboratori e anzi pilastri della sinistra. Berlusconi contribuisce perché propone una destra che viene criticata da una destra che si pone a sinistra. Mentre tanti sinceri socialisti e comunisti sono con lui, Sacconi, Brunetta, Ferrara, Iannuzzi, Vertone, Tremonti, Frattini, Bonaiuti, lo stesso Bondi, in aggiunta al defunto Colletti. Mentre sono contro di lui Fini, Di Pietro e altri sbirri della democrazia, tutta la magistratura, fino al Csm e alla Corte Costituzionale, tutti i servizi segreti, più o meno deviati, pubblici e privati. Oltre ai giornalisti suoi beneficati, che lui ha lanciato o premiato, Travaglio, Guzzanti, Mentana, Severgnini, la lista è lunga.
Alla fine, Berlusconi è, come all’inizio, quello che l’opposizione (non) è. L’antiberlsuconismo quotidiano, a ogni ora del giorno, sulla Rai e su Sky, nei telegiornali, nei talk show, nelle sit-com e nelle rubriche di cucina, sarà pure un modo di ricompattare le masse in fuga dalla sinistra, ma è un modo fraudolento. Cioè complessivamente sempre controproducente: se avvicina un giovane allontana due adulti. Dire che l’uso fraudolento dei mass media è della sinistra sembra un’esagerazione ma così è. Perché incita all’odio. In assenza di argomenti. Che ci sarebbero (il lavoro, il reddito, la guerra in Afghanistan, o nel Libano) ma l’antiberlusconismo li oblitera. Costruendo una trincea che sa di propaganda. Ripetitiva, il che urta i più. E disciplinata, il che urta le persone sensibili, quelle del 5 per cento, che col voto determinano le maggioranze, richiamando inevitabilmente la “Fattoria degli animali”.
Ma non bisogna perdere la fede. “Luz che la sberlusiss” è l’inizio dell’inno a Belisama, la dea celtica che dai sotterranei del Duomo continua a generare acqua e zolfo. Un etimologista, anche antiberlusconiano, non potrebbe negare l’ascendenza, da Berlusconi a questa luce che sbrilluccica. Due Dee l’archeosofia mette a capo di Milano, la Madonna in cima al Duomo, aurea, sole di primavera, e nel lago segreto sotto il Duomo Belisama, forza tellurica, dea lunare. E dunque Berlusconi è forza tellurica e lunare: si capisce che la città ce lo imponga e poi lo trafigga, o lo copra di merda. Perché Milano è così, che fa la Madonna e anche l’Antimadonna. Non bisogna disperare, ma capire e mirare.
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