Dalla Carfagna a Verdini e a Masi, non si contano le iniziative lesive del partito e del governo di Berlusconi di collaboratori in auge per scelta espressa e personale dello stesso Berlusconi. Il direttore generale della Rai, uno dei grands commis della Funzione Pubblica di maggiore esperienza, che manda una lettera di richiamo all’odiato dirigente della Rai Tre per due minuti di sforamento (della trasmissione di Fazio che ha proiettato la rete al primo posto per gli ascolti) è perfino troppo stupida. Mentre a un dirigente Rai che va dalla concorrenza, a Sky e a La 7, a parlare male della Rai, lo stesso Masi dà un buffetto, invece di licenziarlo e chiedergli i danni.
È invitabile, il partito del Capo, modellato come un’impresa, segue il pattern riconosciuto del capitalismo familiare: più capace, fortunato, invadente è il fondatore, più debole è la generazione successiva e la famiglia in genere. Agnelli, Ford, Pirelli, Rockefeller, i casi studiati e popolari sono molti e univoci. La Fiat si è rafforzata alla morte del fondatore perché ha potuto contare sulla guida unica di un manager esterno alla famiglia, il professore Valletta, negli anni in cui l’erede designato, l’Avvocato, era troppo giovane. Marchionne, che può fare tutto negli Usa, vi riesce a meraviglia, come Valletta quando ebbe pieni poteri, mentre in Italia, dove l’azienda avrebbe bisogno di un grosso strattone, deve sottostare ai capricci salottieri della Famiglia, ai rituali politici, alle montezemolate, eccetera. I collaboratori, anche se capaci, quale può essere Masi, se chiamati a corte si perdono.
Nel caso di Berlusconi la debolezza è doppia, in quanto il modello azienda si proietta su un terreno diverso, che ha altre leggi e modalità di comportamento. È così che il grande Comunicatore, a suo agio con reality, presentatori, presentatrici, intrattenitori, comici e pubblicitari, è impacciato e ingessato in politica. Non cura l’immagine: non è mai naturale, con quei capelli inerti, non “buca lo schermo”, è perennemente inward-looking, ossessionato cioè, e si vede, dalla sua perfezione. Perfino infagottato, in qualsiasi tenuta, anche casual, senza collo, senza agilità o naturalezza - non può permettersi un sarto?
I collaboratori peraltro sono inutili, anche se avessero delle idee: il modello azienda implica che al Capo, come al papa, non si può parlare. I portavoce di Berlusconi sono anche capaci e di spessore culturale, Bondi, Quagliariello, Bonaiuti, lo stesso Cicchitto, ma devono limitarsi a parlare del Capo, non possono parlare al Capo, consigliarlo. Peggio quando il Capo è fuori condizione, come è il caso: abulico, insofferente, incattivito verso i “dipendenti ingrati”, che si fa privare per una virgola burocratica di Bertolaso alla Protezione Civile, il suo problem solver, o si fa opporre da Catricalà il rifiuto a lasciare l’Antitrust per l’energia – la quale è e deve restare, Catricalà è un laico raffinato negli equilibri di potere, un settore di area confessionale. È così che una sinistra debole di vizi vecchi e nuovi si trova di fronte un’opinione solida ma mal governata: il partito del Capo è necessariamente inerte.
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