Il genere Oliver Sacks, della follia nella normalità, gelato: sono ottanta pagine di gelo, fisico e mentale, che attraversano il racconto che dà il titolo alla raccolta, di un’infanzia in un villaggio svevo in Romania al confine con l’Ungheria, tra esseri umani senza storia e senza spessore, senza linfa, e un mondo inanimato, di sangue, ossa, escrementi, anche dove è animato – le bestie sono immonde, gli adulti decrepiti, verrucosi, ubriaconi. Margherita Carbonaro ha ritradotto in parte e ampliato di più di un terzo l’edizione originale della raccolta, tradotta da Fabrizio Rondolino nel 1987, sulla base di una riedizione curata e in parte riscritta quest’anno dall’autrice, dopo il premio Nobel, ma la scrittura evita il disgelo.
Il libro è nella copertina di questa edizione Feltrinelli: tutto è desolato, anche se il luogo s’indovina ridente - una volta è “sgradevolmente bello” - e la vera infanzia seguita, accudita. È una famiglia tedesca, quindi i bambini a tavola non possono parlare, e l’educazione si fa con gli schiaffi. Ma la mamma accende la luce la mattina e dice buongiorno, si mangia con forchetta e coltello, e c’è gioia, anche se c’è paura nella gioia (“il mio cuore batte di paura nella gioia, di paura di non poter più gioire, di paura che paura e gioia siano la stessa cosa”). L’esercizio è insistitito da neo école du regard anni 1980, o da tardo adattamento della scuola, di fenomenologia applicata: le cose si appropriano del linguaggio. Esposto talvolta in esercizi semantici: tre pagine di declinazione di “bello” (“A quel tempo in magio”), una sullo spazzare (“Gli spazzini”), prove d’autore. Più spesso in forma di visioni piatte: sogni, ricostruzioni, le istantanee seppiate di una volta, dopo lunga posa. Che Herta Müller condivide con altri scrittori tedeschi meridionali, Bachmann, Jelinek, Ransmayr, Bernhard. È una sorta di cifra, questa scrittura della decomposizione, ereditaria, per avere avuto “padri” nazisti – per le scrittrici padri in senso proprio, non figurato.
L’ampliamento riguarda i testi che la censura comunista in Romania non voleva pubblicati: il 1987 è l’anno in cui Herta Müller, tedesca di Romania, emigrava a 34 anni in Germania. Dopodiché la pubblicazione di testi antitotalitari, benché sempre narrativi, le ha valso a tutti gli effetti pratici analoga censura in molte parti dell’Occidente, Italia compresa – prima del Nobel Herta Müller era tradotta e pubblicata da Keller, editore intrepido di Rovereto.
Herta Müller, Bassure, Feltrinelli, pp. 159, € 15
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