Vladimir Nabokov, Parla, ricordo, Adelphi, pp. 364, € 23
sabato 11 dicembre 2010
L'eleganza di Nabokov all’epoca del riserbo
Scritto a partire da 1936, pubblicato nel 1951 negli Usa col titolo “Conclusive evidence” e a Londra con questo titolo, riscritto dopo “Lolita”, romanzo “di consumo” che muta il pubblico di riferimento e la scrittura di Nabokov, ripubblicato in forma definitiva (ma con variazioni tra l’edizione americana, quella inglese e quella russa) nel 1966, quindi arricchito di un capitolo sedicesimo, l’ultimo, da qui l’esigenza di questa riedizione Adelphi, in cui Nabokov “si scrive” in forma di recensione alla prima edizione (tradotta subito, nel 1963 da B. Oddera per Mondadori). Insomma, un libro di memorie recalcitranti. Dell’epoca ancora del riserbo. O dell’eleganza del dandy, fisica, intellettuale, morale, onesta anche nel ricordo, non rancoroso - anche di proposito, per igiene mentale, a partire dalle genealogie. Prima dell’“impulso a confessare” indotto da Freud - che qui abbondantemente si dileggia. L’ancien régime in immagini, come è caratteristico della narrativa di Nabokov, o medaglioni, anche fotografici (l’ultima foto spensierata coi fratelli e le sorelle è di novembre 1918) con didascalie d’autore, ma senza nostalgia o rimpianti, di un ragazzo che giocava da portiere nella squadra di calcio. In una San Pietroburgo in cui erano italiani il gelato, gli occhiali, e il circo Cinizelli. Tra Leon Bakst, Benois e altre stelle di prima grandezza. Sapendo che “per goderci la vita non dovremmo goderne troppo”.
Nabokov si fa vedere dopo “Lolita”, un uomo di mezza età appesantito e con radi capelli, ma fu sempre un bell’uomo, svelto e agile benché colto e posato. Che si è sempre divertito, malgrado tutto. Qui per ultimo, nel famoso capitolo sedicesimo, spiegando come avesse già parlato di se stesso nel quindicesimo, nominandosi Sirin, lo pseudonimo adottato per le opere scritte in russo, che i marxisti, qualora ce ne fossero ancora stati, avrebbero criticato per la sua mancanza di coscienza sociale, mentre a Parigi e a Londra i “mistagoghi emigré” della rivoluzione criticavano per la sua mancanza di senso religioso. Dalla parte “giusta” in molte pieghe degli eventi, specie nella vita infine tragica del padre, ma troppo blasé per approfittarne. E anche per scrivere di sé: approfitta dei ricordi per sedici dei suoi levigati racconti.
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