giovedì 16 dicembre 2010

Letture - 47

letterautore 
 
Alvaro – Lo sguardo di Alvaro è di sorpresa sul mondo, di scoperta. Non di maniera, scontata, piatta, né di critica, etica, estetica, politica. Eccetto che al Sud, di cui ha creato la maniera, come e forse più di Verga – gentiluomo, quest’ultimo, la cui ambizione era di fiorentinizzarsi, e poi milanesizzarsi. 

Chatwin – Dà fascino all’esotismo. L’esotico certo ha un fascino, l’esotismo è maniera, ma Chatwin la supera perché avvicina l’insolito, il diverso, invece di metterlo in posa quale sorpresa a sé stante – il meraviglioso richiude dentro se stessi, con l’ordinario. E ha il dono di legare una narrazione frammentata – di legarla pianamente, non alla Manldelstam, con accensioni liriche cioè, o filosofiche. Anch’esso grazie alla capacità di fare nostro il diverso o remoto: tante piccole finestrelle dell’Avvento apre, che entrano a far parte delle cose domestiche. La Patagonia. Come la Toscana di “Che ci faccio qui”. Anche in “Utz”, che ha un personaggio e una storia, il fascino nasce da questa capacità, di portarci in casa Oriente europeo che pure è diverso. Alla stessa maniera come ha visto gli aborigeni in Australia nelle “Vie del canto”, un accumulo di dettagli tenuto assieme dalla rete del riconoscimento. Letterato – Quello del letterato si differenza da ogni altra professione in quanto la sua attività non ha apprendistato o iter specifico di formazione, e implica a ogni momento un giudizio di qualità astratto, non correlato a un fine, in un campo specialmente incerto se non infido, l’estetica. In ogni altra attività l’esercizio si svolge senza handicap, se non la tecnica del mestiere, e senza oscure barriere. Una volta che il fabbro abbia imparato a piegare il ferro, e il giornalista a porgere la notizia (quello che vuole o deve dire), il fabbro e il giornalista possono andare in giro a proporsi come fabbro o come giornalista ed essere valutati per quello che sanno fare, senza riserve o arcane motivazioni. Ci sarà anche per lo un giudizio di qualità, ma basato su cose, abilità, rapidità, rapporto costo\servizio, cioè il grado di padronanza delle rispettive tecniche. Nulla del genere esiste per il letterato. Per il professore universitario sì, ma non per lo scrittore, il poeta, il critico militante. La rete di relazioni va costruita personalmente. I criteri sono vaghi e fondamentalmente fortuiti. L’apprezzamento è legato a fattori esterni, non controllabili. Mentre l’ambizione, al contrario, è illimitata: la reputazione cui il fabbro ambisce o il giornalista si trasforma per il letterato nella fama, roba da eternità. Maschile, femminile – Nell’editoria hanno sensi precisi: il periodico maschile tratta di politica, politica internazionale, economia, società, scienza, arti, letteratura, il femminile di moda, psicologia, cronaca a carattere sessuale, divi, astrologia. La pubblicità è mirata su queste tematiche, diverse per i due generi, per i consumi degli uomini e per quelli delle donne. Ai femminili si apparentano, come target di diffusione e pubblicità, i periodici di giossip, i familiari (salute, aristocrazie, politici che cantano le romanze napoletane e scrivono poesie, madri coraggiose), quelli di servizio (salute, arredamento, costume). La divisione non è ideologica (programmatica) ma fattuale, di mercato. Quanto si è voluto dare contenuti “maschili” ai femminili, questi non hanno retto. Quando si è voluto avvicinare le donne alla lettura dei quotidiani (a partire da “Repubblica”) si sono introdotte rubriche di questo tipo: mondanità, consumi, storie personali, casi curiosi. Oralità - È la comunicazione “calda”, secondo McLuhan, che crea il senso comunitario (villaggio globale). È un’estrapolazione del tribalismo, della società chiusa in se stessa? Nella globalizzazione, fuori cioè dalla tribù, e quindi dal nomadismo, e dal conseguente isolamento del gruppo, è espressione fortemente individualistica: non di tradizioni e miti ma di vissuto sempre pericolosamente contro, gelosi, vendicativi, monomaniaci, paranoici. Forse le comunità rom sperimentano qualcosa del “globalismo” di McLuhan. L’elettronica, cellulare compreso (la disponibilità totale) segmenta e ghettizza, frantuma ulteriormente la società già parcellizzata della condizione urbana, del pendolarismo, degli orari. L’oralità è qui un cavallo di ritorno: consente a ogni desiderio o risentimento di navigare a piacimento, senza nemmeno sottostare alle regole della logica (grammatica, sintassi) cui è tenuta la scrittura. Poesia – Un repertorio di New Horizon di quindici anni fa, per un esperimento di audio poesia americana. Due pagine di facce d’autore incredibilmente brutte, smorfiose, butterate, tirate, deformate, spente, uomini e donne insieme. Quattro cd e un secolo di poesia: voci incredibilmente false, atteggiate, roboanti, insinuanti, volgari. Com’era Omero? La poesia è acida? Non è un problema di decoro ma di modo d’essere. Popper – È il filosofo che più e meglio ha mantenuto l’unità del pensare, forse l’unico nel Novecento, a una dimensione “greca”, senza far finta che l’epistemologia non abbia riflessi sul filosofare. Pound – O dell’impegno. È l’incarnazione della vita impegnata, nell’arte, nella società, nella politica anche – voleva essere Dante. Con errori, inevitabili. Senza malanimo – Pasolini lo incontra per questo. Il suo “maestro” Yeats era profondamente antidemocratico, ma di Yeats il segretario Pound ha sempre un’impressione irriverente. S’intende per poundiano l’artificio, lo sperimentalismo. In Italia è poundiano Sanguineti. Mentre l’impegno è prevalente, anche nella ricerca espressiva (linguistica, glottologica, interculturale). Cristina Campo è poundiana più conseguente. Premi – Gli auguri 1997 di Mondadori sono un paginone di pubblicità con l’elenco di un centinaio, almeno, di premiati. Con autori anche degni, Citati, Bettiza e Spaziani, ma senza un libro che sia rimasto, o almeno meritasse una lettura. I premi si fanno avere ai libri che altrimenti non vanno? Certamente si fanno avere. Tanta abbondanza è il risultato di una politica commerciale. Proust – I primi due libri della “Ricerca” parlano di Proust infante. Ma non dell’infanzia. Da qui il senso di falso (egotismo)? Fortissimo nel genere, la letteratura del buon ricordo. “Una duchessa ha sempre trent’anni per un borghese”, Stendhal, “Dell’amore”. Lo snobismo è un vizio, o una virtù? È innocuo, applicandosi a innocui fatti sociali. E alimenta la curiosità, benché di tipo infantile, se non la disponibilità (socialità) – Proust ha cominciato in allegria, con i pastiches e con gli échos, le cronachette mondane. Ma germoglia dal cant inglese, l’ipocrisia come rispetto umano, e quindi è falso, e falsa realtà e rapporti. letterautore@antiit.eu

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