mercoledì 8 dicembre 2010

Perché Milano non si paga la Scala?

Milano si paga il Milan e l’Inter, spedendo in perdita ogni anno centinaia di milioni, che vincono sempre i campionati, ma i soldi per la Scala li vuole dallo Stato. Il maestro Barenboim, subito milanesizzato, dice che è un obbligo costituzionale, e perfino Napolitano, uomo politico pure molto colto, che certamente conosce la Costituzione, gli dà ragione. Mentre sa che non è vero: c’è molta sciatteria, quando non è malafede, sulla cultura che lo Stato deve mantenere, alimentata dall’intellettualità, ed è opportuno dire la verità. Destra, nei palchi, e sinistra, in piazza, unite: l’intellettualità, in teoria la parte migliore della nazione, si manifesta qui la parte peggiore - falsa, prepotente - e non sarà il cancro vero che corrode il paese, più che una sua manifestazione?
Sono le istituzioni più ricche, più protette (senza alcuna concorrenza possibile) e peggio amministrate che vogliono i soldi dello stato. La Scala come Pompei, o la Rai. Con virulenza. Con buona coscienza, qual è quella, indubitabile, dei buoni Barenboim e Napolitano. Si dice: sono istituzioni. Ma istituzioni per chi? Per la passerella dei signori Borrelli, Moratti, e altri grandi democratici milanesi a spese dello Stato, e di qualche ministro lombardo e consorte? Fa ricerca la Scala? Promuove i compositori, fa contratti ai musicisti? Fa scuola, gratuitamente? Ha meriti sociali, divulgativi, pedagogici, porta la musica nei paesi, nelle fabbriche, negli ospedali? No, è un’istituzione giustamente, che potrebbe essere ricchissima, ma vuole fare messinscene e prime magnifiche, di vecchie e vecchissime opere, vuole insomma feste sfarzose, a spese dello Sato. Con qualche ipocrisia, perché, se i milanesi non lo sanno, il sovrintendente Lissner sa che si taglia ovunque in Europa, che c’è la crisi, che gli Stati non pososono indebitarsi, e tagliano dove capita. E lo dice, ma Milano fa finta di non sentire. Dice anche l’ovvio, Lissner, ma nessuno lo ascolta: “Un grande teatro, non sostenuto dalla città, non può durare”. Diecimila euro, per dire, una tantum, dei mille aficionados della prima, quanti ne spendono per il vestito della signora, sarebbero già una buona dotazione. No, Milano è sicura che lo Stato pagherà per lei, non può non pagare, deve pagare – la città senza paragoni più ricca d’Italia, e forse d’Europa.
Lo stesso per la Rai, che guazza nei debiti pur nel mezzo del lutulento mercato della pubblicità, di cui è – sarebbe, dovrebbe essere – la punta trainante. O Pompei, o gli Uffizi. Un patrimonio come Pompei, o come gli Uffizi, dato in gestione a Amsterdam, per dire, che riesce a fare faville e macinare fatturati miliardari ogni anno riesponendo lo stesso van Gogh da ogni punto di vista, sarebbe sicuramente una storia di successo. Certamente non una storia lacrimevole come quella dello strabordante patrimonio artistico nazionale. Per colpa dello Stato, certo, l’abbondanza si vuole protetta – anche se questo non lo pretende nessun trattato dell’arricchimento, neppure di quello illecito.

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